Ho la fortuna di svolgere il lavoro che amo, e lo faccio con tutta la passione e l’impegno di cui sono capace. Quando mi è capitato di essere trasferito da un istituto all’altro, molti colleghi e conoscenti mi hanno fatto le solite raccomandazioni: “Vedrai lì non ti ascoltano, sono tremendi! Stavi sicuramente meglio dove eri prima” eccetera. In realtà poi, una volta arrivato nella nuova scuola, trovavo conferma in ciò che ho sempre pensato: che i giovani sono tutti uguali, hanno una gran voglia di sapere, come noi tutti, e vogliono solo essere presi nel verso giusto. Non è sempre impresa facile, ma questo è il fascino del mio lavoro. Il segreto è uno solo: avere passione per la conoscenza. In questo bisogna essere un po’ “filosofi”, perché filosofo non è chi sa, ma chi ama il sapere. Quando si possiede questa caratteristica, i ragazzi o gli interlocutori lo avvertono subito e si entra in sintonia. Questa è la parte bella del discorso che avevo da fare, adesso mi tocca parlare delle cose meno belle. I ragazzi non sanno nulla o quasi del mondo che li circonda, ascoltano i telegiornali in maniera distratta e non leggono quotidiani. Ma non perché non siano interessati, in realtà sono attratti dalle dinamiche sociali, il problema è che spesso non le capiscono. E quando una cosa non la si capisce, solitamente la si evita. Basta seguire un telegiornale per capire che il novanta per cento degli argomenti trattati è riconducibile alle materie economiche e giuridiche, discipline che nella maggior parte delle scuole non si insegnano più, e quando vengono insegnate si seguono tempi e scadenze ministeriali con il rischio che vengano percepite come materie “aride”. Il problema della scuola in generale è che si fa un gran parlare di riforme ma nessuno si interessa della cosa più importante: come trasmettere il sapere. La risposta è una sola: appassionando i giovani. E i giovani si appassionano quando capiscono che quello che studiano non rimane circoscritto nelle quattro mura scolastiche. Lo studio non deve servire per prendere il bel voto, ma per capire il mondo e sapersi muovere al suo interno. Oggi i ragazzi arrivano a scuola come se avessero in testa una “chiavetta usb” dove è memorizzata tutta la loro conoscenza del mondo, lì c’è il loro “sapere spontaneo”grazie al quale vivono bene nel quotidiano. Appena mettono piede a scuola sostituiscono la chiavetta con un’altra dove è memorizzato tutto il “sapere scolastico”, consistente nelle conoscenze e negli atteggiamenti da assumere per ottenere bei voti. Raggiunto lo scopo, si esce da scuola e si torna nella modalità “vita”, semplicemente cambiando la memoria. Si crea questo spaccato che poi ci si porta dentro per tutta la vita,spesso anche negli studi universitari, perché si studia per raggiungere il risultato immediato, superare l’esame difficile e poi tornare a essere esattamente quelli di prima. Tant’è che a qualche anno dalla fine degli studi, i libri non vengono più toccati perché percepiti come lontani strumenti utilizzati per raggiungere un fine: “l’ottenimento del pezzo di carta”. Questo fenomeno è diffuso in maniera trasversale all’interno della popolazione, senza grossa distinzione di età, sesso, condizione sociale ed economica. Insomma: la scuola da una parte, e la vita dall’altra. Nel mio piccolo, con questo lavoro voglio contribuire a cambiare questo modo di pensare. Mi rivolgo a tutti, perché in fondo siamo tutti un po’ professori e un po’ studenti, abbiamo tutti qualcosa da insegnare e tanto da apprendere. Se vogliamo cercare di rendere il mondo un luogo migliore di come lo abbiamo trovato, abbiamo il dovere di contribuire in qualche maniera. Io ho intenzione di farlo con il mio lavoro, che non vuole esaurirsi nelle ore in cui sono in classe e non vuole essere rivolto solo agli studenti, ma a tutti coloro che riuscirò a coinvolgere con questo strumento. È necessario acquisire un minimo di conoscenze specifiche che ci permettono di capire ciò che ci succede intorno. Dobbiamo essere capaci di comprendere le dinamiche di una società che diventa sempre più complessa. Perché potremmo correre il rischio che da qualche parte ci siano persone che detengono il potere alle quali fa comodo avere un popolo che, non comprendendo le dinamiche sociali, se ne disinteressa, e di conseguenza agirà d’istinto non esercitando più la sovranità attraverso il voto. E se lo farà, lo farà in maniera apatica, con la convinzione che “tanto i politici sono tutti uguali”. Arrivati a questo punto il gioco è fatto, si sarà creato un popolo disinteressato, che pensa ad altro. Un grande filosofo del novecento diceva che il costo della democrazia è “l’eterna vigilanza”, e se noi smettiamo anche di vigilare non abbiamo più alcuna speranza. Vivremo, come già sta succedendo sempre più spesso, in una società dove prevale l’istinto sulla ragione, avremo sempre più bisogno dell’uomo forte, carismatico, che verrà a salvarci. In questo clima vince chi meglio saprà parlare alla “pancia” delle persone piuttosto che al “cervello”. Forse il mio è un progetto ambizioso, ma spero che sia d’esempio ai più, che risvegli qualche coscienza e che possa essere uno strumento utile a tutti coloro che ne avranno bisogno.