Il presidente della Commissione europea Jean Claude Junker, qualche giorno fa, riferendosi alle prossime consultazioni politiche italiane ha manifestato forti preoccupazioni; teme che non nasca un “governo operativo”. Su cosa intenda Junker per governo operativo ci sarebbe tanto da scrivere, ma in questo articolo mi limito ad affermare che ho provato sollievo nell’apprendere che c’è qualcuno, appartenente alle alte istituzioni europee, che si preoccupa per noi. Casualmente, in prossimità delle elezioni italiane, i mezzi d’informazione tornano a parlare dei Mercati e, dopo una lunga assenza, è ricomparso il termine spread, tanto di moda qualche anno fa. Chi non lo ricorda? E’ stato il tormentone del 2011, tutti in quel periodo erano diventati esperti in materia. Qualche politico italiano di buona volontà e con un pizzico di coraggio avrebbe dovuto ringraziare Junker per la premura dimostrata nei nostri confronti, ma nel contempo avrebbe dovuto manifestare altrettanta preoccupazione per la Germania, che a distanza di cinque mesi dalle elezioni non ha ancora un Governo legittimato dal Parlamento. Con tutta la buona volontà, credo sia difficile immaginare un’Europa meno integrata di quella attuale, tenuta insieme solo da interessi di parte e senza alcun senso di appartenenza da parte della popolazione. Con ciò non sto dicendo di essere contro l’Europa, ma di essere contro questa Europa: troppo disomogenea, con sempre più iniquità sociali, differenze salariali, con la presenza di Paesi in costante surplus e altri in estrema difficoltà. E nonostante questi squilibri siano evidente, abbiamo dei partiti per i quali questo tipo di Europa è una realtà imprescindibile, e altri che ne vorrebbero addirittura di più. Poi ci sono quelli che la vogliono cambiare e puntano agli Stati Uniti D’Europa, un’ idea antica e affascinante.Trovo interessante e condivisibile ciò che è scritto nella prima parte dell’approfondimento del programma del Partito Democratico. Condivido di meno, anzi ritengo falso, ciò che si legge nella seconda parte: “Renzi e Gentiloni hanno imposto una radicale inversione di rotta di come si sta in Europa”. E pur apprezzando le conclusioni, nelle quali si dice quale Europa si vuole, credo che le proposte elencate, seppur valide, non siano risolutive, perché si riducono a dei semplici buoni propositi che non vanno al cuore del problema. La questione fondamentale, che si fatica a comprendere, è che siamo stati i protagonisti del primo esperimento nella storia nel quale si è fatta un’unione monetaria prima di costituire quella politica. E ciò è stato fatto con la speranza che la moneta unica avrebbe unito i popoli e le loro politiche. Ma è sotto gli occhi di tutti che così non è stato. Se parliamo seriamente di Stati Uniti d’Europa, e non solo per slogan, dobbiamo prendere come riferimento un modello che funziona, quello degli Stati Uniti d’America. E mentre la maggior parte dei cittadini sanno che gli Stati Uniti hanno una storia, una cultura e una concezione dello Stato completamente diversa dalla nostra, in pochi sanno che il modello economico e fiscale americano è completamente diverso da quello europeo ed è antitetico a quello tedesco. Infatti negli Stati Uniti d’America le disomogeneità, che pur esistono tra gli Stati anche se molto ridotte rispetto alle nostre, sono superate in due modi: da politiche economiche espansive (assolutamente odiate dalla Germania che ha sposato un altro modello economico), e da trasferimenti perequativi tra gli Stati dell’Unione. Questo secondo punto spiega perché sia necessario creare l’unione politica prima che quella economica, perché è fondamentale che ci sia cooperazione e solidarietà tra gli Stati. E ciò si crea solo se c’è spirito di appartenenza, e non con le minacce dei mercati, dello spread e della troika. Gli Stati Uniti d’America hanno un bilancio federale distinto da quello dei singoli Stati, che è di circa il 25 per cento del PIL nazionale, ed è destinato principalmente alle spese militari e ai trasferimenti perequativi tra gli Stati. Invece in Europa abbiamo un bilancio che è di circa l’1 per cento del PIL (circa 140 miliardi di euro), ed è destinato per il 42% alla politica agricola, per il 45% a quella di coesione e il per il 13% alle spese di funzionamento. Inoltre, le somme di cui parliamo, oltre essere esigue, sono quasi completamente destinate ai Paesi dell’Est Europa. Quindi, una volta presa coscienza di questa situazione, bisogna trovare il coraggio di sfatare i tabù che i media ci propinano ossessivamente, prendere atto che continuare in questa direzione non garantisce alcun futuro e valutare le alternative possibili. A mio avviso non ci sono molte scelte, e infatti considero praticabili solo due strade. La prima, in seguito al lavaggio del cervello a cui ci hanno sottoposto, ai più apparirà come una parolaccia, infatti chi la pronuncia viene accusato di tutto nella maniera più indicibile. In realtà si tratta dell’unico modello che nei secoli ha dimostrato di funzionare, e si chiama Stato nazionale. La seconda, consiste nella costituzione di una vera Unione Europea, quella che era nelle intenzioni dei padri fondatori, ma per realizzarla bisogna rimettere tutto in discussione, e resettare gran parte del lavoro svolto sinora. Sono due scelte difficili, ma difficile è il momento storico. Conoscendo l’attuale classe politica, temo non si scelga nessuna delle due alternative, ma si preferisca la strada degli slogan. In molti conoscono la realtà, ma sanno che opporsi al paradigma dominante è troppo rischioso, ed è preferibile intraprendere il percorso più semplice, quello che conduce alla realizzazione dell’interesse personale. Quindi, saremo sottoposti a tanti bei proclami pubblici, a belle parole del tipo: “andremo in Europa a battere i pugni sul tavolo”, pur sapendo di non aver accesso ai tavoli determinanti. E, semmai qualcuno dovesse protestare, lo farà in maniera scenografica sui tavoli sbagliati, per un puro ritorno d’immagine. Temo sia difficile riuscire a sfatare i luoghi comuni e venire fuori da questa situazione, perché, anche chi ha consapevolezza, per interesse individuale è portato a ragionare in un ottica di breve periodo, e nel breve periodo è più conveniente continuare a viaggiare sullo stesso binario, pur sapendo che è morto.