Nell’articolo precedente illustrando la storia della moneta e dei suoi utilizzi, ci siamo soffermati su una delle sue tre caratteristiche, quella di mezzo di pagamento per facilitare gli scambi. Ma una volta acquisito questo concetto, sarebbe utile approfondire l’altra caratteristica, quella di riserva di valore, cioè il modo in cui si decide di conservare la propria ricchezza. Se la moneta viene risparmiata, va da sé che non è spesa e quindi non entra nel circuito dei pagamenti. Ma come ho già scritto, la moneta agevola gli scambi, e se la ricchezza in un Paese inizia a crescere significa che si producono più beni, di conseguenza si rende necessaria una maggiore quantità di denaro. Ma se invece di incrementare la spesa le persone iniziano a risparmiare, si crea un problema di mancanza di liquidità, e la moneta invece di agevolare le compravendite le rallenta. A questo punto, è necessario introdurre la nozione di velocità di circolazione della moneta, che è il rapporto tra il valore complessivo delle transazioni commerciali in un dato lasso di tempo e la quantità di moneta adoperata. In una situazione di crescita della domanda di beni, c’è più bisogno di denaro, quindi bisognerebbe indurre le persone che hanno nascosto “sotto il mattone” i loro risparmi a metterli in circolazione, per meglio lubrificare l’economia. Così diventa importante il ruolo delle banche, che fungendo da intermediari tra chi detiene il risparmio e chi ha bisogno di capitale, mettono in circolazione i denari ricevuti in deposito. Come vedremo, queste sono quelle che definirei “verità scolastiche”, ma entrando nel merito di alcuni argomenti, ci si renderà conto che oggi la realtà è molto più complessa e il ruolo delle banche è cambiato nel tempo. Per ora non c’interessa, e per comprendere l’argomento che stiamo trattando, consideriamolo esaustivo. Quindi, in una prima fase, il problema principale è stato di convincere le persone a depositare i loro risparmi presso le banche, per ricavarne un vantaggio sociale. Perché, per dirla in maniera ancora più chiara, le banche immettendo nel mercato i risparmi tenuti in deposito, aumentavano la quantità di denaro in circolazione, determinando l’aumento delle quantità di transazioni e quindi la velocità di circolazione della moneta. Arrivati a questo punto si è reso necessario avere un’istituzione atta a regolare la quantità d’emissione e quindi l’offerta di moneta. Nascono così le banche centrali. Purtroppo con il tempo si sono commessi diversi errori, e uno di questi, che tratteremo in maniera specifica, è proprio il ruolo affidato alle banche centrali. L’errore è frutto del pensiero economico dominante, quello che oggi troviamo e leggiamo dappertutto (o quasi), che a sua volta ha condizionato e plasmato quello politico, ritenendo che la quantità di moneta in circolazione determini i prezzi. Ne deriva che la quantità di moneta produce inflazione o deflazione, a seconda che ne sia tanta o poca, mentre l’obiettivo auspicabile non sarebbe né l’uno né l’altro, ma cercare di ottenere stabilità. Partendo da questo assunto, fatto proprio e ritenuto indiscutibile da chi detiene il potere, si è deciso di non affidare l’importante ruolo di funzione monetaria (vero e proprio quarto potere) ai governi, che bisognosi di consenso avrebbero potuto optare per scelte poco lungimiranti, ma a istituti autonomi e tecnici quali le banche centrali. Insomma, nel tempo i cambiamenti sono stati numerosi e profondi: hanno coinvolto il modo di operare delle banche commerciali, il ruolo delle banche centrali, e soprattutto la funzione e la concezione della moneta. Se questa, come abbiamo visto, all’inizio aveva un valore intrinseco, con il tempo esso è sparito o per lo meno si è trasferito da un’altra parte. Ciò si evince chiaramente dall’utilizzo delle prime obbligazioni, che erano prestiti fatti al sovrano, e dai certificati di deposito. Insomma, la moneta in un luogo e il controvalore garantito in un altro. Con il passare del tempo il concetto di valore garantito e quello di moneta iniziano ad allontanarsi, fino a non essere più strettamente collegati, e la moneta inizia ad avere una sua precisa autonomia. Finisce per assumere valore non più perché garantito, ma per legge e per convenzione sociale, e non essendoci più il vincolo del valore garantito, inizia ad essere messa in circolazione in quantità maggiore rispetto alle ricchezze possedute dalle banche centrali. Ma al di là delle differenze su esposte, tutte queste forme di moneta hanno qualcosa che le accomuna, ed è il fatto che abbiano impresso il loro valore, così che tutti lo conoscano. Ma ad un certo punto a partire dalla fine del seicento, nascono le società per azioni, e iniziano dei fenomeni nuovi che comportano uno stravolgimento nella logica di quel periodo; accadono cose difficili da spiegare dal punto di vista puramente razionale. Il primo grande cambiamento apportato dalle società per azioni è il concetto di autonomia giuridica. Se fino a quel momento chi aveva un’attività rischiava tutti i gli averi personali, con il concetto di autonomia giuridica iniziano a separarsi il ruolo dell’individuo da quello dell’impresa, quindi se le cose andavano male, si perdevano soltanto i beni legati all’attività e non quelli personali. Come è facile immaginare, ciò fu un notevole stimolo allo spirito di iniziativa di chi fino a quel momento era frenato dal timore di perdere tutto. Ma la vera rivoluzione fu che la società per azioni era costituita appunto da azioni, da “pezzi di carta” che rappresentavano quote di proprietà. Queste azioni, a differenza di ciò che era accaduto fino a quel momento, non avevano un valore impresso, quindi stabilito e conosciuto da tutti, perché il valore era determinato dal giudizio generale, e precisamente dall’incontro della domanda con l’offerta. Il valore lo decideva il Mercato, che è il luogo fisico (a quei tempi), dove si incontrava chi voleva vendere le azioni di una determinata società e chi era intenzionato ad acquistarle. Quello che si era disposti a pagare non era più legato al valore intrinseco o garantito, ma all’opinione che si aveva di quella società, e a quello che si ipotizzava sarebbe potuto accadere in futuro. Se si pensava che la società avesse avuto buone possibilità di crescita e fare utili, allora si era disposti a pagare un prezzo elevato per le sue azioni, altrimenti il contrario. Ma in questa specie di gioco, quello che contava non era l’opinione e il comportamento del singolo, ma della moltitudine, e come sappiamo la massa ha un modo completamente diverso di ragionare rispetto all’individuo. La moltitudine si muove e decide d’intuito, fa scelte figlie dell’istinto più che della riflessione. Se tutti ad un certo punto decidevano di vendere lo stesso titolo azionario perché si spargeva la voce che quella era una società in difficoltà, il prezzo di quelle azioni crollava e nessuno era disposto ad acquistarle. A meno che le avesse acquistate la stessa persona che aveva messo in giro la voce, così da concludere un grosso affare, comperando ad un prezzo irrisorio e rivendendo quando l’allarmismo era passato e le quotazioni risalivano. Insomma, con due semplici operazioni di acquisto e vendita, si riusciva a fare enormi utili. Questi i complessi meccanismi della finanza, che nel frattempo si è persino evoluta, fino ad arrivare ai nostri giorni esercitando un potere enorme ed enigmatico.