Devo correggermi e integrare quello che ho accennato ne il mistero del sistema elettorale e ne lo squilibrio dei poteri. Perché in questi articoli, tra le altre cose, ho denunciato l’assenza di un rapporto di rappresentanza con i nostri parlamentari, e questo forse lasciava intendere che il problema si limitasse a ciò. Mi viene da dire: magari fosse così! Per intenderci basta vedere cosa succede negli enti territoriali più vicini a noi, ad esempio nei Comuni e in parte nelle Regioni. Istituzioni dove vige ancora il principio di rappresentanza, e le cose, anche se meglio rispetto alla politica nazionale e sovranazionale, non funzionano comunque. Dove gli amministratori locali sono eletti dal popolo, e il principio di rappresentanza è funzionante, avviene un fenomeno parossistico, che io definirei: la dittatura del popolo. In tali casi il rapporto tra rappresentante e rappresentato è molto forte, ma su cosa si basa? Pubblicamente ci si pavoneggia parlando di programmi, progetti per il futuro, laboratori di idee eccetera, ma nella realtà tali argomenti non interessano a nessuno. Nella maggior parte dei casi i programmi non esistono, vengono riciclati e scopiazzati da una legislatura all’altra, sono ritenuti inutili e soprattutto, non interessano ai cittadini. Parlare di tali questioni nelle sedi di partito (quelle poche che ancora esistono), al massimo suscita ilarità tra i partecipanti, che considerano il proponete un ingenuo oppure un neofita. La discriminante tra il votare una parte politica anziché l’altra non la fa il progetto o il programma, ma la storia personale, “l’amicizia” con il candidato e soprattutto la soddisfazione di qualche minuscolo interesse personale. Si va dalla più gettonata richiesta di lavoro per sé o per un parente, all’affidamento di un appalto o di una consulenza, per giungere ad una misera “gettatina di asfalto” davanti casa, e concludere con una banale riparazione del lampione che non funziona. La logica è semplice ed elementare: tu mi fai il favore e io ti concedo il voto. Questa specie di ricatto pende sempre sulla testa degli eletti, che si affannano cercando di accontentare tutti pur di mantenere la propria “posizione”. Qualcuno potrà obiettare: e allora cosa c’è di male? L’importante è che le cose funzionino! Potrebbe anche essere vero, ma il problema è che il popolo non ha sempre ragione. Ognuno persegue il suo immediato e spicciolo interesse personale, spesso disinteressandosi della collettività. Mentre, sappiamo bene, che il politico dovrebbe agire esattamente all’opposto. Ma per farlo, dovrebbe in primis avere una visione d’insieme, e poi il coraggio di metterla in pratica. Ma queste ormai sono reminiscenze del passato, quando esistevano i partiti. Questi ultimi erano radicati ad un profondo pensiero politico sociale ed economico che portava avanti una idea di mondo. In un contesto del genere, il collettivo contava più dell’individuo, perché il leader era funzionale ad un progetto. Infatti cambiavano gli uomini al comando ma rimanevano i partiti e le organizzazioni, perché il progetto era ampio e coinvolgeva tutti. Il consenso era importante ma legato ad un’idea di Paese, e quando c’è da portare avanti un progetto comune prioritario non si può correre dietro alle esigenze del singolo, che spesso vengono sacrificate. Inoltre, in un contesto del genere, il singolo non aveva potere ricattatorio, perché comprendeva che il suo “sacrificio” era funzionale al progetto. Quindi si giunge al paradosso che seppure il sistema non sia stato mai perfetto, e che nonostante la Prima Repubblica si sia rivelata fortemente inquinata dalla corruzione, c’è qualcosa di indefinito ai più che spesso la fa rimpiangere, perché persino il modo di rubare era diverso. Infatti nel processare parte di quella classe politica è venuto fuori un alto tasso di corruzione, ma che nella maggior parte dei casi aveva una fondamentale caratteristica: si rubava per il “partito”. A dimostrazione che anche nella illegalità c’era il concetto di collettivo. Mentre, nella società atomistica attuale, tutto è più squallido. Innanzitutto perché anziché ridimensionarsi la corruzione si è accentuata, ma soprattutto perché coinvolge non solo l’aspetto economico ma anche quello morale. In un mondo in preda al nichilismo, dove l’unico valore è quello economico, diventano prioritari il potere e l’arricchimento individuale, tutto il resto non esiste. A questo punto, per raggiungere lo scopo personale, si è pronti a tutto, si cerca di accontentare e si è d’accordo con tutti, insomma si finisce per sposare la filosofia del “maanchismo” quella che il comico Maurizio Crozza attribuiva, come al solito in maniera brillante, all’allora segretario del Partito Democratico Walter Veltroni: è vero tutto ma anche il contrario di tutto. L’importante è sbarcare il lunario.