Continuiamo le riflessioni in quarantena avviate nell’articolo precedente. A partire dall’inizio degli anni ’80 del novecento abbiamo avviato la costruzione di una società che non ha più il senso del limite, dove tutto ciò che segna un confine viene denigrato, deriso ed etichettato come gretto e retrogrado. Una società senza un Dio e senza un’idea di mondo, che si è vergognata sia di avere dei riferimenti spirituali e morali, sia di ritrovarsi intorno a dei principi forti che indicassero la strada e dessero un senso all’esistenza. L’unico credo è stato quello della globalizzazione, termine utilizzato come passepartout per affermare il predominio del Mercato su tutto e su tutti. Un meccanismo creato e diffuso dagli americani per affermare il loro primato nel mondo, ma di questo parleremo in un’altra occasione. In questa sede c’interessa solo evidenziare il fatto che abbiamo assorbito questo concetto vivendolo come una nuova religione laica, dove il dio mercato ha condotto il gioco. Abbiamo creduto che le regole del libero scambio, lasciate a se stesse, ci avrebbero condotto verso un mondo senza più barriere e dove tutti saremmo stati più ricchi e felici. Abbiamo creduto e idolatrato in maniera assoluta il concetto di libertà, che nel tempo è sfociato nel relativismo, creando un mondo dove è vero tutto e il suo contrario, dove ogni posizione è uguale a un’altra, senza gerarchie e senza verità. Una società dove conta solo ciò che si vede, che si può misurare, che ha un valore economico, che è giovane, nuovo e che ha un appeal. Una società dove non c’è spazio per la profondità, per i vecchi e per le tradizioni. Un mondo appiattito nel presente che ha dimenticato il passato e vive il futuro come mero fatalismo. Questa visione ci ha modificato, ha pervaso la comunità, le istituzioni, la scuola, l’università, l’economia e la politica. Abbiamo subito una trasformazione e, come dei cannibali, ci siamo mangiati ciò che di buono avevamo costruito nel ventennio postbellico, divenendo allo stesso tempo vittime e carnefici. Ma quando tutto sembrava ormai segnato, quando il mondo correva così veloce verso la sua autodistruzione, è arrivato il coronavirus e tutto d’improvviso si è fermato. Non conosciamo la causa scatenante di tutto ciò, non sappiamo se c’è la mano dell’uomo o del fato e chissà se lo scopriremo mai. Ciò che è certo è c’è stata una battuta d’arresto la quale ha alimentato una serie di dubbi sul futuro dell’umanità. Oggi, perlomeno in Italia, il peggio (dal punto di vista sanitario) sembra passato, ma non possiamo essere certi di uscirne a breve, né tantomeno possiamo escludere una ricaduta che potrebbe trasformarsi in una catastrofe. Ma, al di là di ciò che sarà e che purtroppo non dipende da noi, mi preme sottolineare e riflettere su ciò che è stato. Nel periodo nel quale siamo stati “reclusi” in casa abbiamo potuto constatare per la prima volta nella nostra vita la fragilità di un modello che sembrava infallibile. Inoltre, abbiamo iniziato ad acquisire la consapevolezza di non poter essere più soltanto spettatori di un mondo che viaggia in autonomia, ma che in qualche modo il destino dell’umanità ci appartiene. In questo lockdown, abbiamo vissuto un periodo straordinario nel quale per un attimo ci siamo riappropriati di una delle cose più importanti che possediamo, il tempo. Non vi nego che in qualche occasione mi sono divertito a osservare chi, non essendo abituato a gestire il tempo libero e il proprio privato, si fingeva indaffarato per non affrontare il senso di vuoto che lo pervadeva. Mentre, d’altro canto, è stato bello vedere chi ha approfittato del periodo di fermo per dare sfogo ai propri talenti nascosti e alle proprie vocazioni sopite. Ma la cosa più importante, quella che mi ha davvero meravigliato, è che in tanti, probabilmente perché spaventati per le innumerevoli incognite sul futuro, hanno iniziato a farsi domande e hanno cercato di capire meglio il mondo. Lo so con certezza perché sono stato contattato in vario modo da persone che non hanno mai manifestato interesse per questioni sociali, politiche ed economiche e che d’improvviso erano alla ricerca di spiegazioni. Questo atteggiamento mi ha fatto tornare in mente le parole di un testo di Francesco De Gregori: “Perché è la gente che fa la storia. Quando si tratta di scegliere e di andare, te la trovi tutta con gli occhi aperti, che sanno benissimo cosa fare. Quelli che hanno letto un milione di libri e quelli che non sanno nemmeno parlare, ed è per questo che la storia dà i brividi, perché nessuna la può fermare.” Sono anni che riporto alcuni concetti sul blog, ma fino a oggi, escluso una parte minoritaria che ha sempre coltivato certi interessi, molti hanno letto in maniera superficiale, spesso ignorando o denigrando, altri semplicemente non hanno letto perché ritenevano tali argomenti monotoni e fuori dalla realtà. D’improvviso, in tanti si sono destati e hanno mostrato interesse. Questa contingenza mi ha indotto ad intensificare l’azione divulgativa e, dopo una iniziale reticenza, mi sono convinto a seguire alcuni consigli, così è nato il canale Youtube. Sono convinto che è ora di spingere il piede sull’acceleratore, perché questo fermento è pericoloso per il potere. Finalmente la gente inizia ad aprire gli occhi, e forse presto capirà che la globalizzazione non è ineluttabile, che i confini (di qualsiasi genere) non sono sempre e solo negativi, ma sono determinanti per la convivenza dei popoli e la sopravvivenza degli uomini, e che non si può vivere nell’illusione dell’indeterminatezza. Fino a qualche mese fa se parlavi in maniera troppo entusiasta dell’Italia e denunciavi le ingiustizie dell’Unione Europea eri definito “sovranista” “autarchico” e “razzista”. Oggi si può iniziare a parlarne liberamente, in molti hanno riscoperto il senso di appartenenza e su molti balconi sventola la bandiera italiana. Si possono denunciare le ingiustizie dell’Unione Europea senza essere aggrediti, anzi, in alcuni casi si viene compresi e apprezzati. Così come si possono denunciare le criticità del Patto di stabilità e del Mes e si inizia ad essere compresi e non per forza etichettati. In questo momento i nemici più pericolosi sono coloro che creano confusione, quelli che pur di ottenere un posto al sole parlano di strani complotti mondiali, o che negano addirittura l’esistenza del virus, rendendo così tutto poco credibile. Credo che queste ipotesi di congiure siano gonfiate ad arte dal sistema così che nella confusione generale, tutte le posizioni critiche nei confronti del potere vengano accumunate e marginalizzate. Non essendoci più capacità di analisi, in un mondo dove le notizie rimbalzano dappertutto, è facile creare confusione e mettere sullo stesso piano una fake con una posizione scientifica e di buon senso scomoda per il potere. Così, nella società della semplificazione, si pone sullo stesso piano chi ha il coraggio e l’ardire di gridare che il “re è nudo” con il terrapiattista. [continua…]