Sembra passato un secolo da quando il primo governo Conte, indaffarato alla redazione del Def e della legge finanziaria, aveva promesso di portare il rapporto deficit/Pil al 2,4 per cento e per questo motivo si era mobilitata tutta l’informazione e i mezzi di comunicazione, allarmati perché il governo stava mettendo a rischio la stabilità del paese e si rischiava l’uscita dall’eurozona. C’era un clima di allerta nazionale per un governo che sembrava volesse attuare una politica scellerata e irrazionale con la quale avrebbe messo in discussione la sacralità dell’austerità europea. Dopo pressioni di ogni tipo, il governo ha dovuto ridimensionare il tiro e al termine di una estenuante trattativa ha ridotto il rapporto portandolo al 2,04 per cento e, come in ogni buona campagna di marketing pubblicitario stile 3 per 2, giocando un po’ con i numeri ha lasciato il 4 finale, tanto in pochi avrebbero notato la differenza. Nell’ultimo periodo, come se nulla fosse, si aprono i giornali e si legge che nel Def di quest’anno il rapporto deficit/Pil è al 2,2 per cento, e tutto appare normale, da nessuna parte si solleva un minimo cenno di stupore né urla di terrore. In pochi mesi è cambiato tutto e ciò che qualche tempo fa appariva rivoluzionario oggi sembra perfettamente ordinario. Ma cosa è mutato davvero? Veramente qualcuno pensa che questa metamorfosi sia frutto di una maggiore credibilità del nostro paese e della statura politica dei nuovi governanti? Sicuramente questo governo è visto meglio da Bruxelles perché allineato alle politiche europee, ma non è questo il motivo del cambio di atteggiamento. La modifica della strategia è dovuta al fatto che la Germania, padrona d’Europa, dopo anni di politica predatoria e scellerata ha iniziato a boccheggiare, e sta constatando che l’azione di depauperamento inflitta ai paesi dell’UE alla fine gli si sta ritorcendo contro. Un sistema come quello dell’Unione Europea che si è privato della politica di aggiustamento del cambio (grazie alla quale noi italiani con la nostra “liretta” eravamo imbattibili) deve, per forza di cose, affrontare con altri mezzi il problema della riduzione della domanda estera dei propri beni. Lo strumento più efficace che gli rimane a disposizione per restare competitivo è la svalutazione salariare, cioè tenere bassi gli stipendi. Credo che su questo argomento non sia necessario riportare i dati ufficiali; basta, ai fortunati che ce l’hanno, mettere a confronto le buste paga degli ultimi anni per rendersi conto che nella migliore delle ipotesi il netto in busta paga è rimasto identico. Quindi, i paesi europei, dopo essersi privata della possibilità di svalutare la moneta, non possono fare altro che licenziare e abbassare le retribuzioni per rendere i propri prodotti competitivi, in un mercato ormai deregolamentato. La Germania che è sempre stato un paese mercantilista, cioè ha sempre basato la propria economia sulle esportazioni, ha usufruito alla grande della situazione venutasi a creare con l’avvento del cambio fisso, con la convinzione che la vendita nel mercato estero (immensamente più grande di quello interno) gli avrebbe garantito una maggiore ricchezza. Il problema è che quando si basa la propria economia sugli altri, comprimendo la domanda interna e non effettuando i dovuti investimenti, si diventa completamente dipendenti dall’esterno. E una volta impoveriti tutti i maggiori partner commerciali, succhiandogli risorse e gettandoli sul lastrico senza redistribuire in alcun modo la ricchezza accumulata, bisogna iniziare a fare i conti con la realtà. La Germania dovrebbe riconoscere la propria mancanza di lungimiranza, anche perché i problemi esterni iniziano a diventare i propri. La sofferenza della potenza egemone europea certifica la morte di tutti gli altri paesi suoi vassalli. La BCE in questi anni, come abbiamo visto, ha stampato moneta e continuerà a farlo per tante ragioni ma, non illudiamoci, il motivo principale è che ciò fa comodo ai tedeschi. Come sappiamo, questa misura non si è rivelata abbastanza efficace; anche perché quando l’economia “non tira” non è sufficiente creare liquidità. Allora, una volta che si è azzoppata la potenza egemone, l’Unione Europea ha dovuto prendere coscienza che è necessario modificare le regole del gioco se vuole provare a sopravvivere. Vedrete che ciò sarà sempre più chiaro e, a breve, sarà avviata una politica fiscale che permetterà al settore pubblico di effettuare investimenti che i privati da anni non fanno più. Si allargheranno le maglie e l’Unione diventerà più flessibile. Tutto ciò accadrà non perché come d’incanto l’Europa sia diventata più buona, ma semplicemente perché di fronte al proprio fallimento dovrà evitare il tracollo. Chiaramente i vertici del sistema faranno finta di niente e fingeranno di aver imboccato la strada del cambiamento per accontentare paesi deboli e mendicanti come il nostro, in realtà stanno semplicemente preservando il loro dominio.
Mi auguro che si faccia davvero una politica di intervento nel settore pubblico. Ce ne sarebbe veramente bisogno. Per quanto riguarda l’Unione europea, continuo a pensare che formalmente gli Stati e i cittadini hanno gli stessi poteri quindi sta a loro attivarsi per esercitarli effettivamente.
Non sono d’accordo sul fatto che i cittadini abbiano gli stessi poteri degli Stati. Mentre concordo sul fatto che bisogna agire, ma per farlo bisogna avere consapevolezza dei problemi e purtroppo siamo invasi da una cattiva informazione che ci confonde e assopisce. Concludo dicendo che, a mio avviso, il primo passo è studiare per capire i problemi e fare opera di divulgazione.