Continuiamo con la lunga disamina del debito pubblico, in questo articolo cercherò di dimostrare ciò che ho scritto in precedenza. Iniziamo con lo smontare la prima falsità che ci ripetono continuamente: abbiamo un debito pubblico altissimo, di circa 2300 miliardi di euro e per questo motivo dobbiamo assolutamente seguire una politica di austerità che miri a eliminare gli sprechi (intendendo per “sprechi” lo “Stato sociale”). Faccio una precisazione per i lettori più giovani: per Stato sociale non intendo il gruppo musicale finalista a San Remo, ma mi riferisco a una politica che mira a ridurre le disuguaglianze, tipica degli Stati di diritto occidentali, soprattutto europei. Un sistema la cui finalità è quella di redistribuire la ricchezza e che, per questo motivo, non piace all’élite economico-finanziaria, che ha saldamente in mano le redini del potere e che negli ultimi quarant’anni ha praticato la politica opposta, distruggendo così la classe media e incrementando il divario tra i ricchi e i poveri. Per mettere in atto questa politica è stato necessario preparare il terreno, modificando il senso comune, diffondendo un nuovo modello culturale e veicolando in maniera persuasiva nella pubblica opinione il messaggio che tutto ciò che è pubblico è inefficiente. Prendendo a pretesto delle degenerazioni del sistema pubblico, che pur ci sono state, si è generalizzato semplificando il messaggio, come è tipico nella società di massa, e nel volgere di pochi anni il pubblico è diventato sinonimo di spreco, di negativo, mentre il privato è stato considerato la soluzione a tutti i problemi. Con questa nuova filosofia, frutto del pensiero neoliberista che punta all’efficienza e alle prestazioni a discapito dell’uguaglianza e della solidarietà, stiamo smantellando ciò che abbiamo faticosamente costruito a partire dal secondo dopoguerra. Abbiamo preso interi pezzi della società e li abbiamo messi sul mercato, con la convinzione che funzionassero meglio. Privatizzare è diventata la parola d’ordine, adottato in tutti i settori, persino in quelli strategici, quali la sanità e l’istruzione, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Ma torniamo al debito pubblico: nell’articolo Il creditore ha sempre ragione abbiamo visto cos’è, com’è suddiviso e da chi è detenuto. Pertanto ci siamo resi conto che la nostra situazione non è così drammatica come ci vogliono far credere, perché soltanto il 31 per cento del debito è in mani estere, mentre la restante parte è detenuta internamente al Paese. Senza scandagliare nel dettaglio da chi è posseduto, ci basti sapere che, dei circa 2 e 300 miliardi, più o meno 300 miliardi è nelle mani della Banca centrale europea e pressappoco 400 miliardi è detenuto dalla Banca d’Italia. Per la maggior parte dei lettori questa cosa è ininfluente e penserà: cosa centra chi detiene i titoli, rimane il fatto che il debito esiste. Invece la differenza è determinante, infatti, come abbiamo detto, il Giappone che ha un debito pubblico triplo rispetto al nostro è considerato un Paese economicamente forte, perché il debito è quasi interamente nelle mani dei suoi cittadini, quindi la ricchezza privata corrisponde al debito pubblico, si tratta di una semplice partita di giro. Ma in quello che stiamo dicendo c’è un ulteriore passaggio: una parte del nostro debito interno è nelle casse delle banche centrali e questo è ancora più rassicurante. Perché la Banca centrale europea o italiana non andrà a speculare sui titoli di stato immettendoli sul mercato ma, come di prassi in tutti i Paesi, li terrà in deposito, e per di più gli interessi fruttati dai titoli posseduti dalla Banca d’Italia andranno girati allo Stato. Quindi si tratta di una parte di debito che è fittizio e che in realtà produce ricchezza per lo Stato. Ma la domanda importante è la seguente: con quali risorse la Banca centrale acquista i titoli del debito pubblico? La risposta è semplicissima, ma nessuno ce la fornisce in maniera chiara. Ce la spiegano con termini tecnici incomprensibili ai più, e spesso anche ai politici. Il meccanismo si chiama alleggerimento quantitativo o quantitative easing, che altro non è che il famoso potere delle banche centrali di stampare moneta dal nulla. Sì, avete letto bene, le Banche centrali di tutti i Paesi hanno la facoltà di stampare denaro dal nulla e acquistare titoli del debito pubblico, così da risanare le casse degli Stati. Potenzialmente la Bce potrebbe immettere denaro direttamente in circolo senza acquistare titoli di stato e senza passare per le banche commerciali, ma con le regole che ci siamo dati non può farlo. Negli anni ’80 e’90, quando il sistema economico funzionava, l’acquisto dei titoli del debito pubblico, che avveniva in massa da parte degli italiani, era un ottimo investimento e inoltre ci teneva a riparo dal rischio inflazione. Perché, anche se quest’ultima era alta, il tasso d’interesse dei titoli di stato era maggiore e così garantiva una rendita sicura. Tutto ciò significa una cosa molto semplice: se una parte consistente del debito pubblico è al sicuro nelle casse della Banca centrale europea e italiana, non dovremmo considerarlo. Non sto affermando nulla di fantasioso, è semplice buon senso ed è ciò che accade in Inghilterra, un Paese serio, che nella contabilità nazionale distingue il debito pubblico posseduto dai risparmiatori da quello che è nelle casse della Banca centrale inglese. Concludendo, possiamo affermare una cosa che a molti apparirà rivoluzionaria, correndo il rischio di essere presi per pazzi, ma è troppo importante per essere taciuta: il vero debito pubblico italiano non è di 2300 miliardi di euro come ci ripetono incessantemente, ma di circa 1600 miliardi. Credetemi, non è una differenza da poco. A ciò va aggiunta una cosa molto importante che ho già scritto, in realtà il debito pubblico è cresciuto a dismisura nel decennio ‘80-‘90 per una precisa volontà politica, allorquando ci fu il famoso divorzio tra la Banca d’Italia e il Ministero del tesoro. Ho anche detto che questo divorzio non è mai stato ratificato dal Parlamento ma è stato deciso con un semplice accordo tra l’allora ministro Andreatta e il presidente della Banca d’Italia, Ciampi. Il mancato riacquisto da parte della Banca centrale italiana dei titoli di stato rimasti invenduti nelle aste ha comportato, al fine di renderli appetibili, un notevole incremento dei tassi d’interesse. Questa scelta è stata dettata dall’idea di base di ritenere la classe politica italiana indegna e corrotta, pertanto si temeva che avrebbe utilizzato la politica monetaria a fini elettorali e clientelari. Si è quindi deciso di sottrargliela, affidandola a un organismo esterno non eletto dal popolo. Ciò che sostengo in questo articolo è facilmente dimostrabile, basta ripetere un esperimento che personalmente ho già fatto. Ma essendomi dilungato troppo, ho il timore che non tutti arrivino a leggere fin qui ed essendo importate ciò che ho da dire, lo scriverò prossimamente.