Trump può essere accusato di tutto, tranne che di non mantenere la parola data. Alla stampa e agli osservatori occidentali, da anni abituati alle promesse da marinaio dei propri politici, non sembra possibile ciò, ma il Presidente americano da perfetto non politico sta facendo esattamente quello che aveva preannunciato in campagna elettorale. Molte sue iniziative sono discutibili e alcune dichiarazioni sicuramente fuori luogo, ma non possiamo cavarcela con la solita spocchia di chi guarda dall’alto in basso e pensa di saperne sempre di più. Le sue scelte indirettamente (come la situazione arabo-israeliana), o direttamente (come l’imposizione di dazi del 25% sulle importazioni di acciaio e del 10% sull’alluminio), colpiscono anche noi. Possiamo lamentarci e biasimarlo, ma la strada è stata intrapresa e a breve inizieremo a registrarne gli effetti. Come al solito la stampa nazionale nelle ultime settimane ha dato risalto alla notizia fornendo un’interpretazione di parte, lasciando passare nell’opinione pubblica l’immagine del cattivo senza scrupoli che se la prende con i più deboli e innocenti. Ma prima di addossare tutte le colpe al “rozzo” e “cattivo” Donald Trump, forse sarebbe il caso di analizzare un po’ meglio la situazione. Partiamo dal presupposto che gli Stati Uniti, nel bene e nel male, dal dopoguerra sono il motore economico del mondo, e hanno mantenuto in vita un sistema conquistando sul campo il ruolo di leader. Abbiamo analizzato in altri articoli, e continueremo a farlo, le innumerevoli storture e ingiustizie del mondo capitalistico; qui invece sottolineiamo gli effetti positivi degli ultimi decenni della politica economica americana basata sulle importazioni. La storia ci ha insegnato che se uno Stato vuole primeggiare deve assumersi gli oneri di un tale privilegio. I paesi forti, quelli destinati a vincere ed essere punto di riferimento, sono quelli che vincono insieme e non sugli altri. Basti pensare che gli Stati Uniti negli ultimi 10 anni, fino al 2017, hanno registrato un disavanzo delle partite correnti di circa 440 miliardi di dollari. In termini più chiari significa che hanno importato più di quanto hanno esportato, e quando s’importa si mantiene in vita il sistema produttivo degli altri paesi, fornendo denaro con l’acquisto di beni e servizi. Ma se da un lato c’è chi acquista e distribuisce ricchezza, dall’altro deve esserci chi vende e incassa. E chi sono i maggiori esportatori nel mondo? Semplice: Cina e Germania. Paesi che, sempre nello stesso lasso di tempo, hanno avuto un avanzo nella bilancia commerciale rispettivamente di 230 e 250 miliardi di dollari. Ma tra questi paesi ci sono due enormi differenze: la prima è che la Cina, a differenza della Germania, nel corso dell’ultimo Congresso del partito comunista ha deciso di puntare sulla domanda interna e diminuire gradualmente le esportazioni; la seconda è una questione di grandezze, infatti la Cina con circa un miliardo e 400 milioni di abitanti (un settimo della popolazione mondiale) ha un disavanzo commerciale di 230 miliardi di dollari, 20 miliardi più basso di quello della Germania, che a confronto è un paesino di 82 milioni di anime. Per comprendere meglio le proporzioni, basta pensare che i paesi membri dell’Unione Europa contano 500 milioni di abitanti, e aggiungendo gli Stati Uniti si arriva a poco più di 800 milioni. Nonostante questi dati impressionanti la Germania continua a puntare tutto sulle esportazioni, a discapito dell’economia mondiale e soprattutto dei paesi europei, dei quali, nonostante tutto, vorrebbe anche essere leader. Insomma, non le basta impoverirli con la sua politica mercantilista, pretende anche di essere punto di riferimento, e non riesce ad accettare che qualcuno possa lamentarsi. Trump, con i suoi modi discutibili, vuole interrompere questo andazzo e riequilibrare il saldo commerciale del suo paese, ma non come fece Monti con l’inasprimento fiscale, bensì diminuendo le importazioni. Per riequilibrare la bilancia commerciale ha scelto di non distrugge la domanda interna impoverendo la popolazione, ma di spingere al consumo dei beni interni, rendendo meno convenienti quelli esteri. Scelta dura, discutibile, non politicamente corretta ma che inevitabilmente produrrà degli effetti. Non sappiamo se il presidente americano andrà fino in fondo o se, da scaltro imprenditore, fa mosse azzardate per poi sedersi e trattare; lo capiremo con il tempo. Ma una cosa è certa, nel frattempo le sue scelte producono effetti sul mondo intero. Noi purtroppo ci troviamo nel mezzo di una battaglia che avremmo potuto evitare, e pagheremo le conseguenze per la nostra posizione in campo. Per troppo tempo abbiamo avvallato delle scelte sbagliate, ed è inevitabile che s’inizi a pagarne il conto. Purtroppo questo è solo l’inizio, e speriamo che i governi di tutta Europa trovino la forza e il coraggio di affrontare realmente queste tematiche per riportare nel dibattito un po’ di sobrietà e buon senso.