Ho deciso di pubblicare qualche articolo inerente delle riflessioni maturate nel periodo di quarantena. Stare tanti giorni chiusi in casa ha costretto un po’ tutti a ripensare al nostro modo di stare al mondo. Ciò mi ha indotto a delle considerazioni che riporterò in una serie di articoli. In realtà ne sarebbe uno, ma per rendere più fruibile la lettura lo dividerò in più parti. Iniziamo con il dire che di solito i momenti epocali, quelli di svolta, li si comprendono a posteriori, li delineano gli storici quando rileggono e ricostruiscono il passato. Questa volta non è così, oggi sempre più persone iniziano a prendere consapevolezza che c’è un cambiamento in atto, che quella che stiamo vivendo non è stata una semplice emergenza temporanea. Come ho detto più volte, non sono tra quelli che credono che da domani il mondo non sarà più come prima e che ci sarà un cambiamento radicale della società. Insomma, ciò che si diceva dopo l’11 settembre e dopo la crisi del 2008. Credo però che ci sarà una notevole accelerazione dei cambiamenti sociali che già erano in atto, e che nuove consapevolezze matureranno nella coscienza collettiva. Stiamo iniziando a comprendere cose che fino a poco tempo fa non ci erano chiare o che semplicemente avremmo preferito evitare di sapere. Il mondo che ci attende sarà migliore o peggiore di quello che conosciamo? Difficile rispondere in maniera netta, io ho delle mie convinzioni ma non pretendo che siano verità assolute, sarebbe giusto e sacrosante che ognuno riflettesse dandosi delle risposte. Com’è nella natura delle cose, tutto si modifica, compreso il nostro modo di stare al mondo. Le generazioni nate dopo la seconda guerra mondiale non hanno conosciuto grosse catastrofi e fino agli anni settanta hanno vissuto nella società del benessere; poi, è iniziato un graduale declino che però non è stato avvertito immediatamente, perché lento e progressivo. Nel ventennio che ha seguito il dopoguerra è stata posta in essere una politica che ha mirato al riscatto dell’uomo, posto al centro della ricostruzione dopo le macerie del conflitto. L’obiettivo prioritario di quel periodo è stato la valorizzazione della comunità, che ha determinato la costruzione dello Stato sociale, cioè delle politiche pubbliche finalizzate ad aiutare chi rimaneva indietro. Un mondo che guardava al futuro ma che allo stesso tempo cercava di non lasciare nessuno indietro. Era una società attaccata alle proprie origini, fatta di ideali e valori, con forti principi identitari e religiosi. Un mondo che qualcuno potrebbe definire bigotto, ma che aveva delle certezze e delle regole ben definite. Insomma, per un breve periodo nella storia dell’umanità il potere è venuto davvero “dal basso” così come recita la Costituzione e si è costruito un mondo più giusto e più equo. Dopodiché, è iniziato il riscatto di chi storicamente ha sempre avuto in mano le redini del comando; i ricchi e i potenti si sono riorganizzati gettando le basi per riappropriarsi di ciò che gli è sempre appartenuto. Chiaramente lo hanno fatto in maniera scientifica e meticolosa, non lasciando nulla al caso. Hanno abbracciato un modello di mondo, un paradigma, e servendosi delle organizzazioni sovranazionali, delle istituzioni e dei media lo hanno fatto diventare l’unico modello concepibile. Dopo il crollo del Muro di Berlino, il politologo statunitense Francis Fukuyama scrisse “La fine della storia”, perché il destino dell’umanità sembrava ormai definitivamente segnato, aveva vinto il capitalismo e non c’era più nulla da aggiungere. Sulla base di quest’onda, dalla quale più o meno tutti siamo stati travolti, si sono gettate le basi dell’attuale società. Dipingendo come negativo tutto ciò che è pubblico, abbiamo conferito potere assoluto al mercato e al pensiero unico. In un modo o nell’altro i partiti che hanno governato dai primi anni ‘80 sono stati all’interno di questo paradigma, nessuno ha avuto il coraggio o la forza di contrastare la verità del cosmopolitismo. [continua…]