E di nuovo ci tocca andare contro il pensiero maggioritario nel paese e smentire quello che è acclamato in ogni dove: la riduzione del numero dei parlamentari. Non c’è organo di stampa o partito politico che non sia schierato a favore della riforma, guai mettersi contro il “sentire comune”. L’azione politica è basata sui sondaggi pertanto, per aumentare il proprio share, bisogna sostenere quello che la gente vuole sentirsi dire. Quindi, dopo anni di indottrinamento basato sul presupposto che la politica è brutta e cattiva, che i politici sono tutti corrotti e incapaci e che lo Stato sociale è troppo costoso, si è giunti alla naturale conseguenza che bisogna liberarsi dai fardelli inutili. Peccato che questi “fardelli” siano l’unica speranza che abbiamo se vogliamo provare a salvarci. È vero che sono ridotti male, probabilmente sono al minimo storico ma ciò non significa che bisogna abolirli, basterebbe riformarli, che è cosa diversa. Non possiamo abolire la maternità perché aumentano i casi di madri che maltrattano i figli, né eliminare i matrimoni perché la famiglia rimane uno dei luoghi dove si consumano le più atroci violenze. Come abbiamo ribadito in più occasioni, da anni è in atto da parte dei poteri esecutivi di tutto il mondo un feroce attacco agli organi rappresentativi. Viene fatta passare l’idea che il Parlamento sia un luogo inutile dove si perde tempo e non si prendono decisioni, mentre, nell’era della globalizzazione, avremmo necessità di essere veloci e decisionisti e pertanto servono esecutivi forti e monocratici, con un leader carismatico che prende decisioni immediate per tutti. La finanza, che domina l’economia, ha bisogno di decisioni repentine e non può stare ai tempi lenti della democrazia. Nel Parlamento, come dice la parola stessa, si parla, ci si confronta, si dibatte e non sempre i pareri sono concordi. Il Parlamento ha tempi lunghi perché la democrazia ha bisogno di riflessione e di confronto, ma queste sono caratteristiche che non appartengono più alla nostra epoca. Così, senza riflettere troppo, abbiamo cancellato centinaia di anni di cultura democratica e di filosofia del pensiero politico. Se è vero che l’uomo solo al comando è più veloce ed efficiente è altrettanto vero che per aderire a questa scelta c’è un prezzo alto da pagare: la riduzione della libertà. Ma noi oggi a questa cosa non diamo peso perché come affermava Calamandrei: “La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”. È vero, la democrazia è lenta e complicata ma ad oggi rimane lo strumento migliore che l’uomo si è inventato per il governo del paese. La libertà è un bene prezioso, quindi raro, difficile da ottenere e pertanto andrebbe difesa strenuamente. In un sistema rappresentativo il luogo della democrazia per antonomasia è il Parlamento, non ne esistono altri, e chi dice il contrario è ignorante o in cattiva fede. I nostri saggi padri costituenti, che a distanza di oltre settant’anni continuano a difenderci dalla cattiva politica, lo sapevano bene e infatti hanno stabilito che chiunque può essere eletto rappresentante del popolo a prescindere dal titolo di studio, dal lavoro e dalla situazione sociale ed economica; gli unici requisiti che hanno previsto sono l’età e la fiducia dei connazionali. Inoltre, cosa di non secondaria importanza, hanno fissato il numero che, in un paese come il nostro, deve essere di circa mille membri suddivisi in due camere. Bisogna però considerare che dal 1948 ad oggi la popolazione italiana è cresciuta mentre il numero dei parlamentari è rimasto invariato e, in base all’attuale popolazione, il corpo elettorale, composto da circa 50 milioni di elettori, ha un rapporto numerico tra eletto ed elettore di uno a 80 mila. Ciò significa che un parlamentare per essere eletto deve conquistarsi la fiducia della maggioranza di 80 mila votanti (consistenza media di un collegio elettorale). Oggi, che i parlamentari contro il volere dei padri costituenti non sono più eletti dal popolo ma nominati dai partiti, questa cosa appare di poco conto, ma quando la democrazia funzionava un po’ meglio e c’era un rapporto tra il popolo e la classe politica, non era sicuramente facile conquistare la preferenza in un collegio di tali dimensioni: erano indispensabili notevoli risorse economiche per potersi muovere e fare campagna elettorale. Ma questo rapporto numerico è stato considerato un giusto compromesso tra l’esigenza di rappresentatività e una buona funzionalità dell’istituzione, perché un numero maggiore di legislatori avrebbe fatto correre il rischio di creare un sistema elefantiaco. Quindi, se partiamo dal presupposto che in questi settant’anni il rapporto numerico tra eletto ed elettore è cresciuto naturalmente per questioni demografiche e a ciò aggiungiamo che la riforma in corso prevede addirittura una diminuzione del numero dei parlamentari, ci rendiamo conto di come, inconsapevolmente, ci stiamo allontanando dal sistema democratico rendendo sempre più ardua la possibilità di rappresentare il popolo. I parlamentari non più eletti ma nominati dal potere che dovrebbero controllare (l’esecutivo), con le varie riforme elettorali sono stati privati dei loro poteri, divenendo dei pianisti, ovvero schiacciatori di pulsanti a comando. Quelli che una volta avevano un rapporto diretto con il proprio territorio e rispondevano agli elettori per il l’operato, oggi sono paracadutati dall’alto e spesso sono dei perfetti sconosciuti. Gli unici ad avere un rapporto con i cittadini sono i leader di partito, più o meno carismatici e sicuramente telematici, che decidono sulla vita e la morte di quelli che dovrebbero essere i rappresentanti del popolo sovrano. In questi anni il luogo della rappresentanza ha subito un continuo attacco da più fronti e una volta passato il messaggio dell’inutilità dell’istituzione, tutto è stato possibile. Quindi, invece di tornare a dare dignità al ruolo centrale in un sistema democratico si è finito per abbatterlo, e la cosa più triste è che lo si fa con tanto clamore avendo il consenso degli elettori. Una volta diminuito il numero dei parlamentari, secondo voi chi avrà la possibilità di essere eletto in circoscrizioni che diventeranno ampissime? Che possibilità avrà il cittadino comune che vive del suo lavoro di farsi conoscere e di essere scelto? Nessuna, le porte si apriranno soltanto ai nominati e, nella migliore delle ipotesi, se si dovesse cambiare nuovamente la legge elettorale, solamente a coloro che hanno ingenti capacità economiche che gli permetteranno di affrontare una campagna elettorale di siffatte dimensioni. Quindi, ci si dirige sempre più speditamente verso una oligarchia, spalancando le porte ai ricchi e ai rappresentanti delle corporazioni dei vari centri di potere. E la cosa paradossale è che tutto questo accade con l’acclamazione del popolo, il quale non comprende che non si stanno riducendo i costi ma cancellando le libertà. Se l’obiettivo è risparmiare sono altre e tante le cose da fare, e se proprio si vuole iniziare con i parlamentari basterebbe ridurre i compensi e non il numero. Non si può abbattere l’ultimo presidio di libertà con tanta leggerezza. Insomma, rivediamo i compensi ma diamo la possibilità a chiunque di rappresentare il popolo, rendiamo più facile l’accesso ai luoghi del potere e, soprattutto, facciamo una legge elettorale seria che permetta ai cittadini e non alle élite di scegliere i rappresentanti. Come ha ricordato qualche tempo fa il segretario del Partito Comunista Marco Rizzo con un tweet, la riduzione del numero dei parlamenterai era nel programma della loggia massonica P2 di Licio Gelli, insieme ad altri progetti che negli anni gradualmente la politica sta attuando. Questo forse dovrebbe indurci a riflettere, piuttosto che rallegrarci e festeggiare.