Quello che scriverò, visto i tempi che corrono, sarà sicuramente impopolare e criticato, me ne farò una ragione. Fatta la dovuta premessa, dichiaro subito che sono rimasto fortemente colpito dal gesto del cardinale Konrad Krajewsky, l’elemosiniere di papa Francesco che l’11 maggio, rispetto ad una situazione di difficoltà di circa 450 persone, tra le quali anziani, malati e bambini, ha avuto il coraggio di infrangere la legge, rompendo i sigilli e restituendo l’energia elettrica ad una palazzina di Roma in via Santa Croce in Gerusalemme, vicino la basilica di San Giovanni in Laterano. L’alto prelato ha subito rivendicato il gesto, per il quale il 21 maggio è stato aperto un fascicolo che probabilmente comporterà la sua iscrizione nel registro degli indagati. Proviamo per un momento ad estraniarci dalla logica di appartenenza, che ci costringe a dare dei giudizi affrettati e di parte, e proviamo a guardare il gesto dall’alto. Sicuramente chi vive nella palazzina è un abusivo e non è giusto che occupi illegalmente una casa; ma, in un Paese civile, non è neanche giusto che ci sia gente che muoia di fame e sia costretta ad abitare in quelle condizioni. Quindi non è importante, se mai fosse possibile, stabilire e risalire al colpevole, anche perché il percorso sarebbe troppo lungo e complicato. In questo ragionamento non è neanche importante stabilire ed evidenziare le responsabilità e gli errori della Chiesa. Cercare il colpevole significherebbe buttarla in caciara e non affrontare il nocciolo della questione. Quello che mi preme evidenziare in questo ragionamento è che, in un periodo storico dominato dal nichilismo, c’è un uomo, un rappresentante della Chiesa, che di fronte alla sofferenza non si è girato dall’altra parte, ma avuto il coraggio di fare quello che predica: aiutare i bisognosi. Non m’interessa la polemica, mi sta a cuore l’uomo, ciò che rappresenta e il suo coraggio. Viviamo in un’epoca di individualismi, dove la caratteristica più diffusa è l’egoismo e la codardia e non certo il coraggio. I nostri atteggiamenti sono tutti conformati alle tendenze diffuse dai mezzi di comunicazione e non abbiamo più capacità critica. Questo episodio, nella sua semplicità, ci impone una riflessione sulla distanza che c’è tra legge e giustizia. Perché non sempre ciò che è legale è anche giusto, e l’esempio più eclatante proviene da ciò che è successo nei campi di sterminio nazisti: quello che è accaduto agli ebrei era perfettamente legale e ammesso dallo Stato. Infatti, durante il processo di Norimberga, fu l’avvocato dell’ufficiale Hermann Goering, Otto Stahmer, a sollevare il caso, invocando il principio del diritto romano che recitava: “Nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali”, cioè non si possono condannare comportamenti che nel momento in cui venivano compiuti erano legali, perché i nazisti avevano solamente applicato la legge dello Stato. I giudici, inizialmente in difficoltà, respinsero l’obiezione e con le sentenze decretarono qualcosa di più importante e più alto, sostennero che nessuna legge può stabilire lo sterminio di altri esseri viventi e i gerarchi furono condannati per crimini contro l’umanità. Questo a significare che ci sono dei principi e dei valori che travalicano la legge dell’uomo, essendo principi di natura. C’è qualcosa di più profondo, che sentiamo intimamente e che ci fa distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è. Di conseguenza, perché non ci sia discrasia tra ciò che proviamo e ciò che facciamo, la legge dovrebbe sempre conciliarsi con la giustizia, ma bisogna constatare che purtroppo non sempre ci riesce. A questo proposito fa scuola una tragedia di Sofocle, nella quale Antigone rivendicava il diritto di seppellire il fratello Polinice in nome della legge naturale contro la legge della Città. Quando Creonte, il tiranno di Tebe, gli chiese se conoscesse l’editto che vietava la sepoltura, Antigone rispose che le era ben noto ma che aveva seguito “le leggi non scritte, inalterabili, fissate dagli dei: quelle che non da oggi, non da ieri vivono, ma eterne: quelle che nessuno sa quando comparvero” e aggiunse che nessuno può venir meno a queste leggi per paura di un uomo. Consci di ciò, bisogna riconoscere che ci sono epoche storiche, come quella che stiamo vivendo nell’ultimo ventennio, dove il popolo sembra imbarbarito, dove l’istinto spesso prevale sulla ragione. Ma non bisogna arrendersi, bisogna avere il coraggio di affermare le proprie idee e di compiere gesti come quelli compiuti da Antigone e dal cardinale Krajewski. Al di là di come la si pensi, bisogna ammirare le persone che hanno il coraggio di mettersi in gioco, di rischiare in prima persona e di andare contro leggi che ritengono ingiuste perché lesive di diritti umani. Abbiamo bisogno di più uomini così e di meno sbruffoni, di palloni gonfiati che si sopravvalutano e si sentono forti perché sono in branco. Si è uomini, degni di questo nome, solo quando si ha il coraggio delle proprie idee e si è pronti a difenderle a qualsiasi prezzo.