In questo blog cerco di usare la ragione senza alzare i toni e cadere in provocazioni che avrebbero come unico effetto quello di distogliere l’attenzione dall’oggetto della discussione. Di questi tempi è difficile criticare l’euro e l’Unione Europea senza essere accusati di essere sovranisti, chiusi e bigotti. Con il lavoro del blog, sto cercando di portare avanti una serie di ragionamenti che spesso sono contrari al “sentire comune”, ma che sono basati su posizioni fondate e sostenute da fonti autorevoli; e, cosa non meno importante, lo sto facendo a voce bassa. Risparmio il lavoro a chi non se ne fosse ancora accorto, informandolo che è inutile cercare di cogliere la mia appartenenza politica e l’orientamento del blog, in quanto non c’è. Mi dispiace deludervi ma è da un bel po’ che sono uscito dal gioco delle appartenenze, le mie idee sono libere e incondizionate, ma di questo ne parleremo in un articolo a parte. Non siete tenuti a credermi, come non siete tenuti a leggermi, ma se lo fate vi chiedo di fermarvi un attimo e riflettere su quello che scrivo. Partiamo dal presupposto che non sono contro l’Unione Europea per principio, mi piacerebbe un continente unito che parlasse un’unica lingua, che avesse un’unica politica estera e che remasse nella stessa direzione. Un continente forte, pronto a confrontarsi con il resto del mondo. Sarebbe un sogno e forse, lavorandoci seriamente e onestamente, le generazioni future potrebbero conoscere una realtà del genere. Ma oggi dobbiamo fare i conti con la realtà, guardando quello che abbiamo costruito e analizzando ciò che ci sta accadendo. I nazionalismi che si stanno risvegliando diffusamente, l’intolleranza e le rivalità, che in alcuni casi sfiorano l’odio, tra i Paesi europei sono il frutto della politica fatta negli ultimi anni. Il razzismo strisciante che serpeggia nel Paese, sempre più evidente, non nasce da anni di politiche autarchiche, nazionaliste e sovraniste, ma al contrario è frutto della politica imposta da enti sovranazionali che, senza alcun principio democratico, hanno stabilito ciò che è giusto per noi. Un perbenismo di facciata che ha liberalizzato il mercato, ha eliminato regole e protezioni e puntato tutto sulla globalizzazione, vendendola come la soluzione a tutti i problemi, creando così un mondo dove il più forte ha sempre ragione. Ma senza essere troppo generici è giusto andare al cuore del problema e individuare qual è stato il peccato originale che ci ha condotto fin qui. Si è voluta costruire a tutti i costi l’Europa unita, non avendo la pazienza di aspettare che i tempi maturassero. Non bisognava inventare nulla, bastava leggere qualche libro di storia e di diritto costituzionale per capire in quale direzione si muoveva la storia. Le Costituzioni che funzionano, quelle scritte alla fine del secolo scorso, sono documenti nati dal basso, dal popolo, da persone che segante da esperienze durissime, quali guerre e dittature, hanno trovato la forza di guardare avanti, di sedersi intorno a un tavolo per stabilire delle regole comuni di convivenza e dire: “mai più ciò che è stato”. Uomini provenienti da mondi e culture diverse che, con grande fatica, hanno trovato punti d’incontro per rendere grande il proprio Paese. Non c’erano e non ci sono alternative: così come non è possibile giocare una partita di calcio senza aver fissato delle regole, non è possibile convivere se non si hanno delle norme comuni che prescindono dalle opinioni politiche e religiose. Dobbiamo avere chiaro in mente che l’Europa, a differenza dell’America, ha una storia millenaria di tradizioni e culture diverse che non è possibile ignorare, perché fanno parte del proprio DNA e al momento opportuno saltano fuori. Avremmo dovuto tenere presente le enormi difficoltà a cui andavamo incontro, avremmo dovuto lavorare sulle nuove generazioni, superando le differenze e valorizzando ciò che ci unisce. Perché il continente Europeo, seppur variegato, è unito da forti e distintivi elementi e tradizioni comuni che vanno dalla cultura giudaico-cristiana, a quella greca e romana. Avremmo dovuto avere il coraggio di rivendicare con orgoglio le nostre origini, di difenderle e, intorno a esse, delineare un’area di confine e di appartenenza. A partire da un sentire comune forte e condiviso dai popoli avremmo dovuto scrive la Costituzione Europea: radici forti per un Unione forte. Avremmo dovuto ancorare questa Costituzione al diritto naturale, a ciò che intimamente e istintivamente sentiamo giusto, perché parte di noi. L’Europa economica sarebbe stata una logica conseguenza. In realtà c’è stato un flebile tentativo di seguire questa strada, ma le cose non sono andate nel verso giusto, perché nel 2005 la Francia e i Paesi Bassi con un referendum hanno respinto la proposta. Allora, a quel punto, invece di lavorare sugli errori e intensificare l’azione integrativa, si è preferito accelerare e imporre delle regole dall’alto, da parte di un comitato di affari che non poteva perdere tempo. A quel punto l’Unione Europea è diventato un semplice organo sovranazionale tenuto insieme da un contratto che ha regole incomprensibili. Per rendersene conto basta confrontare la nostra splendida Costituzione, scritta con un linguaggio chiaro e che scalda i cuori, con le parole fredde ed enigmatiche usate nei Trattati europei. Per alcuni versi abbiamo fatto un salto indietro e siamo tornati ai tempi dello Statuto Albertino, quando i documenti venivano concessi dall’alto; anche se a favore dello Statuto c’è da dire che per lo meno era corto (solo 84 articoli) e comprensibile. Questo errore mortale e imperdonabile è quello che, a mio avviso, determinerà il fallimento di questo esperimento unico al mondo, perché sta comportando conseguenze nefaste. Tra le tante, le più gravi ed evidenti sono due: la prima è che con il passare degli anni a forza di sottostare a rigide regole spesso incomprensibili, i Paesi, sempre più in competizione, sono diventati diffidenti e hanno incrementato le distanze tra loro, alimentando il desiderio di tornare all’interno dei confini nazionali e favorendo la crescita dei partiti sovranisti; la seconda è che non delineando un perimetro di appartenenza, l’Unione Europea si è aperta a tutti, a popoli che hanno culture, religioni e visioni del mondo completamente diverse dalla nostra. Non avendo avuto il coraggio di stabilire con forza e determinazione quali sono le nostre radici, abbiamo dato la possibilità a tutti di entrare, e quindi ci siamo aperti all’Est Europa e finanche alla Turchia, Paese dove vige una spietata dittatura e dove non sono garantiti i diritti umani. L’unico requisito per far parte di questa accozzaglia di popoli e culture è impegnarsi a rispettare dei freddi, rigidi e a volte strampalati parametri economici: tutto il resto e fuffa.
Sicuramente la mancanza di una costituzione complica la convivenza di paesi così diversi ma l’elemento che secondo me non ci fa sentire veramente europei è la mancanza di una lingua comune.Come faremo a sentirci prima europei e poi italiani.Siamo pronti a partecipare ai mondiali di calcio con una sola squadra europea e ad ascoltare la telecronaca della partita Europa – USA tutta in inglese. La vedo dura ma non impossibile anche se il percorso è molto lungo e non so quanti saranno disposti a faticare.Magari potrebbe essere proprio lo sport il collante con un bel “giro d’Europa” al posto del “giro d’Italia”.Chissà! !
Osservazione molto interessante, e che ci aiuta a capire meglio quanto siamo distanti dall’obiettivo.