Tutta l’attenzione dei mezzi di comunicazione è concentrata sugli arrivi dei migranti in Italia. Ne parlano tutti, dalle trasmissioni televisivi, ai blog, dalla carta stampata ai social media: un bombardamento mediatico che tiene alta l’attenzione. I politici, di conseguenza, sempre a caccia di consenso e visibilità, approfittano della ghiotta occasione. C’è chi viene tacciato di razzismo e chi invece indossa una maglia colorata per prendere le distanze, in un conflitto dialettico che è sempre lo stesso. Questo tema, seppur importante, non dovrebbe monopolizzare l’attenzione, e la classe dirigente insieme ai mezzi d’informazione dovrebbe avere il buon senso di guardare l’altra faccia della medaglia sollevando la problematica con la stessa enfasi. Mi riferisco all’altro aspetto della migrazione, a quello dei giovani Italiani costretti a lasciare il nostro Paese, e ai pochi che rimangono ma sono demotivati e costretti a svolgere due o tre lavoretti per sbarcare il lunario. Fornisco un semplice dato per inquadrare meglio le dimensioni del problema: solo lo scorso anno, 285 mila giovani, per lo più laureati, sono andati via dall’Italia. Questo fenomeno si ripete ormai da anni, spendiamo miliardi di euro per formarli e poi li mandiamo ad arricchire altri Paesi. Nel dibattito pubblico di ciò non si parla, si tratta solamente il problema della denatalità del nostro Paese e ci si dispera per la tenuta dei conti. Possibile che a nessuno venga in mente che prima di considerare qualsiasi altra opzione bisognerebbe fermare questa emorragia mortale? Giovani laureati, le menti eccelse del nostro Paese, costretti ad emigrare, a lasciare le proprie famiglie, per fare grandi altri Paesi. Il problema demografico italiano non può essere ridotto soltanto a una questione numerica, bisognerebbe considerare anche l’aspetto qualitativo così da cogliere la complessità del fenomeno. Naturalmente alle lobby finanziare ciò non interessa: chiedono solo manodopera a basso costo e cittadini indebitati che acquistano merci e servizi. Un Paese può avere un futuro fino a quando le nuove generazioni guardano al domani con gli occhi della speranza, percependo l’avvenire come una sfida per la quale mettersi alla prova e far valere il proprio talento. Ma basta entrare in un’aula scolastica, come faccio io quotidianamente, per rendersi conto che la realtà è diversa. I nostri giovani sono disincantati, hanno perso entusiasmo verso il futuro percependolo spesso come una minaccia. Non credono nella politica, la considerano inefficace e corrotta, pertanto vivono schiacciati dal presente senza farsi troppe domande. Ancora per un po’, possiamo far finta di nulla e continuare a parlare d’altro, ma primo o poi la realtà verrà a bussare alle nostre porte e allora saranno guai.