Ora veniamo alla prova empirica di ciò che ho scritto fino ad ora a proposito del debito pubblico. L’esperimento di cui vi ho accennato nell’articolo precedente l’ho fatto un paio di anni fa quando, dovendo trattare l’argomento dei titoli di stato con gli studenti, ebbi l’idea di rivolgermi alla mia banca per acquistarne uno e verificarne insieme a loro il funzionamento. Questo perché sono convinto che ciò che si spiega in classe, per quello che è possibile, vada sempre collegato alla vita reale, altrimenti gli insegnamenti restano semplici nozioni che a breve termine volano via come foglie al vento. L’impiegato della banca rimase sorpreso dalla richiesta, il che mi fece capire che la mia era una domanda inusuale, tant’è che l’interpellato in evidente difficoltà chiamò un collega, a suo dire “più esperto”, il quale, dopo aver consultato il direttore, mi si avvicinò e con tono fraterno mi sconsigliò vivamente di acquistare titoli di stato, asserendo che erano vendite che da tanti anni non effettuavano più. A quel punto rimasi sorpreso, e chiesi ulteriori spiegazioni. Mi sentii rispondere da entrambi che è antieconomico acquistare titoli del debito pubblico perché hanno un interesse negativo, e che sarebbe stato meglio comperare obbligazioni della banca stessa o prodotti finanziari che, a loro dire, mi avrebbero garantito alti rendimenti senza alcun rischio. Non li contraddissi e finsi di credere alle proposte, ma liquidai la faccenda declinando gentilmente l’invito e illustrando il motivo didattico per il quale ero interessato all’acquisto di titoli di stato. Chiaramente questo episodio ha destato in me molta curiosità, perché mi ha rivelato una realtà molto diversa rispetto a quello che è scritto sui testi scolastici, su quelli universitari e ciò che normalmente viene spiegato agli studenti. Infatti, chiunque abbia letto qualcosa a riguardo sa che la versione ufficiale ci spiega che i titoli del debito pubblico sono emessi dallo Stato quando ha bisogno di denaro per far fronte alle proprie spese, e che lo Stato si impegna a restituire ai creditori, a scadenze prestabilite, il capitale ricevuto oltre gli interessi. Ma se fosse realmente così, l’atteggiamento della banca nei miei confronti sarebbe stato radicalmente diverso, e infatti non è difficile intuire che maggiore è il fabbisogno dello Stato, più rilevanti sono le somme di cui ha bisogno, e più alti sono gli interessi che sarebbe disposto a pagare. Quindi, con l’enorme debito pubblico che ci ritroviamo, del quale non fanno che parlarci quotidianamente, e che ci costringe a seguire alla lettera le politiche restrittive imposte dall’Unione Europa, dovremmo offrire dei tassi d’interesse altissimi, cosicché i cittadini siano invogliati a prestare soldi allo Stato per farlo funzionare meglio e garantirsi una rendita sicura. Ma dall’esperienza che vi ho riportato se ne deduce chiaramente che la realtà è l’opposto della teoria, e se non credete a ciò che ho scritto basta che andiate dalla vostra banca e facciate la mia stessa richiesta, vedrete che vi sentirete rispondere le stesse cose. Allora, qualche domanda bisognerebbe pur farsela: perché uno Stato che ha bisogno di soldi, ed è fortemente indebitato, non offre alti tassi d’interesse per vendere i propri titoli di stato? Com’è possibile che addirittura ci sia un interesse negativo (cioè saremmo noi a pagare il debitore per potergli prestare dei soldi)? Si, avete capito bene, il creditore paga interessi allo Stato per fargli un prestito. Detto ciò, è lapalissiano che ci sia qualcosa che non va, e cerchiamo di capire subito di cosa si tratta. In realtà è molto semplice, ma nessuno ce lo spiega: la verità è che nel sistema attuale lo Stato non ha alcun bisogno dei nostri prestiti, perché la Banca centrale europea da anni crea moneta per acquistare i titoli di stato dei Paesi dell’Unione. Questo significa che il debito pubblico è finanziato, cioè comperato, dalla Bce. A dimostrazione che quel mostro che ci minaccia e ci tiene sotto scacco, il famigerato debito pubblico, in realtà potrebbe essere sconfitto dalla Banca centrale europea, che potrebbe riassorbirlo emettendo moneta a costo zero. Probabilmente è proprio per questo che non vogliono dircelo, e preferiscono tenerci permanentemente sotto ricatto. Per evitare che tutti comprendano certi meccanismi, li rendono complicati, obnubilando le menti e chiamandoli con nomi incomprensibili ai più, come ad esempio quantitative easing o rifinanziamento, e la maggior parte della classe politica, non comprendendo, ripete la formula senza sapere esattamente di cosa sta parlando, mentre chi ne capisce è ben attento a non diffondere informazioni. Ricordo che quando ero ragazzo, e l’Italia era una vera potenza mondiale, in quasi tutte le case della penisola c’erano titoli di stato. Tutti investivano i propri risparmi in titoli sicuri che rendevano un alto tasso di interesse. Mi si potrebbe osservare che seppur vero che gli interessi erano alti, era alta anche l’inflazione. Ma ciò è vero solo in parte, perché comunque i tassi d’interesse sono sempre stati più alti dell’inflazione, anche quando quest’ultima ha raggiunto il 7 o l’8 per cento, i titoli rendevano almeno l’11 o il 12 per cento, insomma c’era sempre una differenza di 4 o 5 punti percentuali. E quella era l’Italia che funzionava, a partire dagli anni ‘50 fino agli anni ’80, dove gli italiani investivano nel proprio Paese, che aveva un’economia florida ed era competitiva con il resto del mondo. Poi, per delle scelte di cui abbiamo parlato ampiamente, ha prevalso la linea politica che ci ha considerati indegni e incapaci di amministrarci, per cui alcune persone hanno deciso, senza passare per il Parlamento, di sottrarci la sovranità monetaria e indebitarci. Da quel momento, non avendo più a disposizione la politica monetaria, il potere politico è diventato un mero esecutore delle disposizioni impartite dalla Banca centrale europea, dai grossi gruppi finanziari, dalle società di rating, dagli investitori e speculatori esteri. Non siamo più un Paese sovrano, dipendiamo completamente da organismi esterni; se la Banca centrale deciderà di interrompere la politica monetaria espansiva, voluta da Mario Draghi contro il volere dei tedeschi, saranno guai seri. E ricordo che Draghi rimarrà a capo della Bce ancora per pochi mesi. Insomma, siamo sotto ricatto e non abbiamo alcuna voce in capitolo, l’unico modo per uscire da questa trappola è riformare completamente il sistema o farlo saltare. Il problema è che manca la consapevolezza, e purtroppo non basta qualche voce fuori dal coro per invertire la rotta. In un mondo dominato dalla tecnica, il potere riesce ad avere un controllo assoluto sui cittadini, rendendoli complici inconsapevoli. Siamo in una fase avanzata di smantellamento degli Stati e affidamento della sovranità a organi sovranazionali controllati da un ristretto gruppo di persone. Lo strumento principale con il quale si sta mettendo in atto questa strategia è la moneta e la politica del debito. Pertanto siamo tutti debitori, di un debito che non potremo mai estinguere, e nonostante non abbiamo responsabilità alcuna ci sentiamo colpevoli per questo stato di cose, così accettiamo passivamente, senza capire e protestare seriamente, tutto ciò che ci viene imposto.