Siamo finalmente giunti alla trattazione di un argomento fondamentale per il discorso che stiamo portando avanti, un altro tema per il quale è nato il blog e che è il nucleo centrale attorno al quale si regge il modello neoliberista: il debito (pubblico e privato). Tutte le politiche avviate dai vari governi negli anni ottanta erano volte a distruggere lo stato sociale, e hanno avuto bisogno di una giustificazione affinché fossero accettate dai cittadini. Per evitare che il popolo si ribellasse non c’era nulla di più semplice che lavorare sul senso di colpa, sul far passare il messaggio che negli anni passati si fosse vissuti al di sopra delle proprie possibilità, accumulando debito pubblico che avrebbe penalizzato il futuro dei figli. Posta così nessuno ha avuto il coraggio di obiettare e, con un senso di colpa più o meno velato, tutti hanno accettato passivamente e in alcuni casi con una buona dose di masochismo la politica dell’austerità, spesso plaudendo ad ogni taglio e privazione dei diritti acquisiti. Con tale premessa non intendo sostenere che negli anni del boom economico non ci siano stati sprechi, oppure che nell’usufruire delle forme di tutela sociale, ottenute con dure battaglie e tanta sofferenza, non ci sia stato chi ne abbia approfittato. Ma in questi anni invece di focalizzare l’attenzione sui colpevoli e punirli, si è preferito accusare genericamente tutti così da fare tabula rasa dei diritti fondamentali, facendoli passare per privilegi. Troppo pochi, e poco influenti, sono stati coloro che negli anni hanno detto la verità, e cioè che la crisi nella quale siamo entrati e dalla quale non usciremo a breve è una crisi strutturale, nata dal sistema bancario e dalla finanziarizzazione dell’economia. Il capitalismo sano quello dell’economia reale a un certo punto, come abbiamo detto, ha iniziato ad essere meno efficiente e così si è deciso di passare all’economia finanziaria, basata sul nulla. Parallelamente si è compiuta una mossa altrettanto efficace per smantellare il sistema e fare in modo che la ricchezza passasse dalle tasche della classe media, la maggioranza della popolazione, a quelle dei pochi: si è concesso alle banche, cioè a privati, il potere maggiore che si potesse conferire, ciò che è sempre appartenuto solo agli Stati, quello di creare moneta. Nel blog abbiamo già iniziato ad analizzare alcune delle strategie poste in essere dal potere finanziario e continueremo nei prossimi articoli, qui le abbiamo semplicemente elencate perché sono indispensabili per comprendere meglio ciò che sta accadendo. Diamo solo qualche numero per rendere più chiaro lo strapotere della finanza: nel mondo il commercio estero di beni fra Stati, quindi la ricchezza reale, ammonta a circa 20.000 miliardi di dollari l’anno, nei mercati finanziari questa cifra si raggiunge in meno di una settimana e per il resto dell’anno si eseguono transazioni che non hanno alcuna copertura reale; il Prodotto Interno Lordo del pianeta è a un dipresso 60 trilioni (60.000 miliardi) di dollari l’anno, che corrisponde a circa la dodicesima parte di ciò che transita nello stesso periodo nei mercati finanziari. Non siamo giunti per caso in una situazione del genere, ma per una precisa volontà di chi lucra da questo stato di cose. È stata posta in atto una strategia che ha previsto l’utilizzo di mezzi nati dallo studio di tecnici che, con la fine della guerra fredda, hanno spostato l’attenzione dalle armi agli strumenti finanziari. Così, per anni, tramite le banche ci hanno erogato credito facile indebitando famiglie e Stati. Hanno iniziato con il debito privato, costringendoci a sottoscrivere finanziamenti per acquistare merce di qualsiasi tipo e plasmandoci con modelli televisivi e insistenti campagne di marketing. Ci hanno convinto che tutti potessero acquistare tutto, che non esistessero più differenze tra le classi sociali, e che con dei comodi finanziamenti avremmo realizzato i nostri sogni nell’immediato e pagato con calma. Un’intera popolazione si è caricata di mutui trentennali per acquistare l’abitazione, e di una miriade di finanziamenti per procurarsi auto fiammanti, elettrodomestici, arredamenti, cellulari di ultima generazione, abbigliamento e tutto ciò di cui aveva voglia. Ingabbiati in un tale sistema, dove spesso non c’erano alternative all’acquisto a rate, la figura del consumatore, nata nell’epoca del capitalismo sano, si è trasformata in quella di debitore. Hanno utilizzato una logica simile per gli Stati perché, per una precisa volontà politica (che analizzeremo prossimamente), questi ultimi hanno pagato interessi sul debito pubblico sempre più alti. In una situazione del genere (scoppiata la crisi nel 2008 in America) le banche, esposte per cifre esorbitanti, hanno fatto pressione sui debitori perché rientrassero dalle loro esposizioni. Ma, come è facile immaginare, in molti casi le richieste non sono state esaudite ponendo gli istituti finanziari in enormi difficoltà cosicché, per evitare la bancarotta, hanno chiesto l’aiuto degli Stati. Questi ultimi sotto minaccia, perché le banche erano piene di titoli di Stato, sono intervenuti massicciamente per il salvataggio, acutizzando la crisi e ponendoci in una situazione di non ritorno. Tutto questo non c’è stato raccontato dai mass media, ma neanche dalla maggior parte degli organi e istituzioni ufficiali, quelli che “diffondono sapere e conoscenza”. Hanno preferito spiegarci che la crisi è dipesa dall’eccessivo carico dello stato sociale, il quale, se vogliamo salvarci, va assolutamente smantellato. C’è stato imposto il modello dello Stato che deve assomigliare alla casalinga, la quale fa la spesa facendo quadrare il bilancio familiare. Ma, nessuno ci ha spiegato che lo Stato, a differenza della famiglia, ha la possibilità di stampare moneta e imporre le tasse. A forza di politiche di austerità e tagli alla spesa pubblica abbiamo fatto un enorme salto indietro e come nel famoso principio della rana bollita, di Noam Chomsky, secondo il quale l’anfibio immerso in un pentolone di acqua fredda si abitua all’aumento graduale della temperatura, dovuto all’accensione del fuoco, e anziché saltare fuori (cosa che farebbe se fosse immersa direttamente nel liquido bollente) passa da una situazione piacevole alla morte, senza rendersene conto. Così noi, progressivamente ci siamo abituati al degrado della nostra società e nulla più ci stupisce. La normalità, nella quale siamo giunti gradualmente, è diventata la mancanza di servizi, il degrado urbano e la latitanza dello Stato. Dopo circa 20 anni di tali politiche si sono creati dei danni irreversibili, ma forse non tutto è andato perso e c’è ancora un filo di speranza. Per fortuna c’è una parte della società che, seppur obnubilata, inizia a intuire che la realtà è diversa da quella che ci viene dipinta, e pur non conoscendo i complicati meccanismi posti in essere si rende conto che qualcosa non funziona e che continuando così dietro l’angolo non c’è la ripresa, che ci viene promessa da sempre, ma soltanto altra povertà e disagio sociale. Speriamo solo che questi pochi riescano a destare la maggioranza, così da evitare a tutti la bollitura.