La possibile nascita di un governo M5s -Lega potrebbe segnare un passaggio epocale. Se i due partiti avranno la forza e il coraggio di portare avanti alcune delle loro idee e proposte, e non si lasceranno (cosa che reputo molto difficile) intimorire dalle forti pressioni che arriveranno dall’esterno, si potrebbero aprire nuovi scenari per il nostro Paese. Ma nel frattempo una cosa è già cambiata, ed è il rapporto tra gli organi dello Stato. Abbiamo vissuto un ventennio impregnato di logica maggioritaria, caratterizzato dalla spasmodica ricerca di leader. Allo svilimento dell’organo legislativo ha fatto da contraltare il rafforzamento dell’esecutivo, con presidenti del consiglio forti e riconoscibili, rappresentanti dei partiti di maggioranza. Ora, d’improvviso siamo ripiombati nel mondo del proporzionale, ma con delle differenze rispetto alla Prima Repubblica perché nel tempo è cambiato il modo d’intendere la politica, e non basta una legge elettorale per modificare la percezione comune. Tutto ciò è dimostrato dalla modalità in cui si sono svolte le trattative per le alleanze: si è continuato a parlare di vincitori e sconfitti negando la realtà, cioè la necessità di stringere accordi. Un’altra caratteristica in comune alla Prima Repubblica ma con delle sostanziali differenze, se Conte dovesse riuscite a formare il governo, è la fragilità del Presidente del Consiglio. Infatti, anche nella Prima Repubblica abbiamo avuto presidenti del consiglio deboli, frutto di compromessi, ma comunque erano importanti esponenti di partito, inoltre dall’altro lato c’erano parlamentari autorevoli che avevano un legame e una riconoscibilità sul territorio di appartenenza. Insomma, c’era una sorta di bilanciamento tra Governo, Parlamento e partiti. Oggi, dopo aver depotenziato il Parlamento con il meccanismo delle nomine, stiamo indebolendo anche il Governo, delegando il vero potere all’esterno a una sorta di “gran consiglio” composto dai rappresentanti dei partiti della maggioranza. Ci si sta dirigendo verso una sorta di nuova forma di governo, con il logoramento delle istituzioni e il rafforzamento dei partiti. Questa soluzione, figlia di una logica di delegittimazione della politica, nell’immediato potrebbe apparire positiva ma in realtà è altamente rischiosa. L’affievolimento delle istituzioni si traduce in mancanza di garanzie che sono state ben congeniate e previste nella Costituzione repubblicana, e che per anni ci hanno difeso dagli attacchi della cattiva politica. La logica dell’uno vale uno è sbagliata e pericolosa, non si può pensare che un programma, per quanto giusto e condivisibile, sia più importante delle persone che debbano attuarlo. La realtà è fatta di sfumature, di rapporti, di situazioni che non è possibile prevedere in anticipo. Il programma condiviso dalle forze in campo va interpretato e adattato alle situazioni, e non è irrilevante chi dovrà interpretarlo. Non si può pensare che il Presidente del Consiglio sia una sorta di notaio che si limiti a riportare pedissequamente la volontà delle parti. Inoltre, non a caso l’art. 92 della Costituzione prevede che sia lui a scegliere i Ministri e proporli al Presidente della Repubblica, perché tra il Presidente del Consiglio e i Ministri è necessario che ci sia un clima di fiducia, rispetto e collaborazione. Sono regole basilari per una democrazia, che vanno rispettate se vogliamo che il futuro governo abbia davvero la forza per cambiare le cose. Altrimenti, tutto si ridurrà ad un vano tentativo destinato a fallire presto, e nel quale le due forze in campo continueranno a fare campagna elettorale per tornare alle urne più forti di prima, ma mai abbastanza per governare da soli.