Quotidianamente, non ne capisco il motivo ma quasi sempre all’ora di pranzo, vengo assalito da telefonate da vari call center, i quali mi propinano di tutto: da un nuovo piano telefonico, a un’assicurazione sulla vita, a un abbonamento televisivo ecc. Spesso riesco a evitare le telefonate perché, ormai, riconosco gli strani prefissi dalle quali provengono. Qualche volta, invece, riescono a farmela perché telefonano da cellulari, e sono costretto ad ascoltare parte della proposta, che puntualmente interrompo manifestando il mio disinteresse e chiedendo, più o meno cortesemente (dipende dall’umore), di non esser più contattato. Ma, se sono fortunato il giorno seguente, altrimenti a distanza di poche ore, ricevo l’ennesima proposta. Insomma, forse esagero se lo chiamo stalking, ma è sicuramente qualcosa che gli somiglia. Il problema è che in questo caso il carnefice non compare, perché chi esegue “la violenza” è a sua volta una vittima, che probabilmente lavora in qualche sottoscala spesso non in Italia ma in Romania, Albania o zone limitrofe. Uomini e donne che lavorano per più di dieci ore al giorno, in cambio di un misero stipendio e con un contratto che quando c’è è precario. Ma questo trattamento non riguarda solo i call center e i lavoratori esteri: c’è una buona parte di popolazione italiana costretta a lavorare in condizioni schiavistiche, per produrre beni destinati a grossi e prestigiosi marchi. Sto parlando di multinazionali blasonate che si presentano al grande pubblico con immagini di famiglie perfette, donne bellissime e lusso ostentato. Grandi colossi che spesso fatturano più degli Stati, e che non sono disposte a offuscare la loro immagine, costruita con ingenti investimenti in marketing, sporcandosi le mani direttamente. Infatti, affidano il lavoro, con la logica del subappalto a cascata, alla cooperativa disperata che offre il maggior ribasso. La società che si aggiudica il lavoro (l’ultimo anello della catena), lo fa sottocosto, spesso perché ha bisogno di liquidità per tamponare delle situazioni d’urgenze. Si tratta di un gesto disperato, per risolve momentaneamente un problema che nel frattempo diventa più grande, ma chi lo compie deve pensare a sopravvivere oggi, e non può permettersi il lusso di pensare al domani. Una volta ottenuto l’appalto a certe condizioni, c’è un solo modo per ottemperare gli impegni: svalutare e svilire il lavoro. Si utilizza qualsiasi espediente pur di risparmiare: si ricorre alla formula del socio lavoratore, si ignora la normativa sulla sicurezza, si utilizza il lavoro nero, minorile e a cottimo. Queste tristi realtà sono sempre più frequenti, e dovremmo chiederci perché i governi dei cosiddetti “paesi sviluppati” invece di affrontarle se ne disinteressano. L’unica risposta che abbia un senso logico è che i grossi gruppi economici, per i quali conta solo il profitto, hanno interesse affinché le cose funzionino così. In un’ottica del genere, la politica attuale è perfetta: assenza di regole e confini in nome della libertà. Diventa utile (come ho già scritto) avere un popolo di migranti, di gente sradicata e in continuo movimento, sempre più debole e inconsapevole. Esseri umani considerati non più uomini ma semplicemente lavoratori, da utilizzare e sfruttare a proprio piacimento. Sono convinto che dietro questo stato di cose ci sia una volontà ben precisa, perché è evidente la mancanza di impegno nell’affrontare il problema. Infondo basterebbe poco, la soluzione è banale e la si potrebbe applicare nell’arco di 24 ore. Non bisognerebbe inventare nulla, basterebbe copiare ciò che già esiste ed è applicato nel settore alimentare: l’HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points, tradotto: analisi dei pericoli e punti di controllo). Si tratta di un monitoraggio, rigido e capillare, eseguito non solo a valle ma in tutta la filiera del processo produttivo. Il prestigio di una società dovrebbe basarsi su queste dinamiche, e non solo sull’abilità comunicativa. Chi vende un qualsiasi prodotto, a maggior ragione se si tratta di un marchio di prestigio, dovrebbe garantire fino in fondo il proprio lavoro e quello di eventuali collaboratori, mettendoci la faccia e assumendosi le responsabilità. Non possono esserci falle nel sistema, perché in ciò che potrebbe apparire una banale svista, spesso si concentra un mondo fatto di ingiustizie, disuguaglianze e sofferenze. Il tutto amplificato dall’indifferenza generale.