Negli ultimi anni si fa un gran parlare della “tenuta economica degli Stati”; considerati sempre più fragili, dal punto di vista economico, a causa di una visione distorta della realtà. Infatti, nell’opinione comune, gli Stati sono percepiti come delle aziende e pertanto rischiano il fallimento. Questa logica ha depotenziato la politica, che con il tempo ha perduto la propria autonomia. Le attuali classi dirigenti, ormai, si limitano ad eseguire le regole imposte dall’economia (a sua volta surclassata dalla finanza), e a svolgere i “compiti a casa”, per superare i continui esami ai quali sono sottoposti. Ma chi è l’esaminatore? Chi stabilisce la solidità e la capacità di rimborsare un debito di una società privata o di uno Stato? E soprattutto, che criteri utilizza? A queste domande, per quanto ne so, è possibile rispondere in parte, perché troppi sono ancora i lati oscuri. Innanzitutto è necessario sapere che a stabilire se un’azione o un’obbligazione sia più o meno sicura, oppure a esprimere giudizi sui debiti degli Stati, sono tre agenzie di rating americane: Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch, soprannominate “le tre sorelle”, le quali sono talmente potenti che insieme controllano il novantacinque per cento del mercato. Queste agenzie a loro volta sono di proprietà di grosse multinazionali, ad esempio la Standard & Poor’s è posseduta dalla McGraw-Hill Companies, colosso delle comunicazioni, dell’editoria, delle costruzioni, presente in quasi tutti i settori economici, nei maggiori fondi di investimento e nella stessa agenzia di rating Moody’s. Per chi non Io sapesse, i fondi d’investimento sono istituti di intermediazione finanziaria, organismi che raccolgono il denaro dei risparmiatori e lo investono in maniera diversificata sul mercato mobiliare. Detto ciò, vediamo chi controlla la McGraw-Hill Companies. All’interno del consiglio di amministrazione compaiono nomi di grandi uomini d’affari come Dougals N. Daft (ex presidente della Coca-Cola Company, e attuale direttore aziendale della catena di ipermercati Wall-Mart), i presidenti di grosse società farmaceutiche e assicurazioni, e perfino l’ex presidente degli Stati Uniti, George H.W. Bush (padre). Da questa lunga premessa, si deduce una cosa che potrebbe sembrare banale ma è fondamentale nel nostro ragionamento: le società di rating, che ormai hanno raggiunto un potere economico e un’influenza politica internazionale maggiore di quello delle banche centrali e degli Stati, sono organizzazioni private e, in quanto tali, rispondono alle regole di mercato, pertanto il loro scopo principale è massimizzare il profitto. Queste società sono costituite dagli stessi soggetti che sarebbero interessati, e potrebbero far soldi, se le agenzie assumessero un determinato comportamento, per esempio declassando o promuovendo una società privata o uno Stato. Bisogna sapere che il rating, cioè il giudizio sul rischio di un credito, si divide in: rischio commerciale (per gli enti privati), e rischio Paese (per gli Stati). Il giudizio sulla capacità di un debitore di far fronte al suo debito è espresso con degli indici alfanumerici; sevizio fornito gratis agli Stati, e a pagamento agli utenti privati. Inizialmente solo i creditori si avvalevano delle società di rating, per avere maggiori garanzie di riscossione, mentre oggi ne usufruiscono tutti, persino i debitori. Possiamo asserire che attualmente, con molta probabilità, non ci sia compravendita finanziaria che non si avvalga del giudizio di una società di rating. Questa procedura, apparentemente banale e innocua, assume un’importanza fondamentale per gli Stati. Aggiungere un “più” o un “meno”, oppure una “A” o una “B” ad un Paese, potrebbe scatenare un effetto incontrollato di compravendita di titoli di stato. Ad esempio, una nazione in difficoltà economica che vedesse declassato il suo rating, si vedrebbe costretta ad indebitarsi ulteriormente per pagare gli interessi sul debito. L’effetto immediato di un giudizio negativo sarebbe un aumento dei tassi di interesse, per cercare di riacquistare la fiducia dei creditori sottoscrittori del prestito, con il conseguente aumento del costo del debito e un effetto negativo sul bilancio dello Stato. Questa situazione, con le regole economiche attuali, porterebbe la classe politica a tagliare la spesa pubblica, con un aumento diffuso della povertà. Inoltre, il crollo del valore di scambio della moneta, si tradurrebbe in una diminuzione delle importazioni, che diverrebbero più costose, ed in un minore valore delle esportazioni. A questo punto, considerata l’importanza dei giudizi delle agenzie di rating, sarebbe fondamentale conoscere i criteri con quali vengono formulati. Ma su questo argomento vige il riserbo più totale; nessuno conosce le metodologie adottate. Questa mancanza di trasparenza, come è facile immaginare, dà spazio ad un’assoluta discrezionalità delle stesse. Teniamo presente che si tratta delle agenzie che nel 2008 avevano dato una tripla A (giudizio più alto), fino al giorno prima del crac, alle azioni della banca Lehmann Brothers. E ricordiamo che il fallimento della banca americana, dovuto allo scoppio della bolla del mercato immobiliare, ha dato il via alla crisi finanziaria mondiale. Inutile sottolineare che la politica è completamente inerme rispetto a tali meccanismi. L’unica reazione degna di nota è stata quella del Presidente Obama, che nel suo secondo mandato (forse perché si sentiva più forte) ha attaccato la Standard & Poor’s, portandola direttamente in tribunale, accusandola di responsabilità relative allo scandalo dei mutui subprime (prestiti rischiosi, perché concessi a soggetti ritenuti ad “alto rischio di solvibilità”). Ma la reazione della società di rating non si è fatta attendere, e gli Stati Uniti per la prima volta nella loro storia si sono visti abbassare il rating, perdendo la tripla A (AAA), il massimo grado di garanzia. Nonostante tutto, il volume delle operazioni finanziarie derivate (tradotte con il termine più chiaro di speculazioni), continua ad aumentare a dismisura, e ha superato di gran lunga il valore dell’economia reale. La situazione si fa ancora più preoccupante se pensiamo che i più grandi istituti di credito del mondo (Jp Morgan Chase, Banck of America, eccetera) sono esposti alle fluttuazioni del mercato finanziario per cifre che superano il Prodotto Interno Lordo dei rispettivi Paesi, e le conseguenze di un crollo improvviso di un tale sistema sono inimmaginabili. Insomma, siamo giocatori involontari di una partita enormemente più grande di noi, della quale non conosciamo le regole e non comprendiamo la pericolosità.