Siamo nel mezzo di una campagna elettorale nella quale si parla di tutto tranne che dell’essenziale. Il tema più importante, secondo la mia opinione, sul quale dovrebbe incentrarsi la discussione e sul quale dovremmo assistere ad approfondite analisi, non viene sfiorato. Sto parlando dell’Unione Europa. Ci sono voci, anche autorevoli, all’interno di alcuni partiti che criticano aspramente un’Europa così concepita, ma la sensazione è che si tratti di voci fuori dal coro, destinate a rimanere isolate. Singole posizioni che non corrispondono ai programma dei partiti, e ancor meno a quelli delle coalizioni di appartenenza. Cenni, spiragli, ma sostanzialmente tutto è rimandato al dopo-elezioni. Bisogna essere consapevoli che con la legge elettorale che ci hanno rifilato è verosimile ipotizzare una maggioranza allargata basata su accordi al ribasso. Tirando le somme ci si rende conto che in realtà sono pochi quelli che, oltre a puntare il dito e sfornare frasi fatte, hanno realmente intenzione di impegnarsi per cambiare lo status quo. Anche i Cinque Stelle, nati come movimento di rottura e particolarmente duri contro l’euro e l’Europa, hanno gradualmente abbassato i toni e modificato l’opinione riguardo a tali tematiche. Si ha la netta impressione che si stiano preparando a governare e inizino a istituzionalizzarsi. Stando così le cose, la strada per il nostro Paese sembra tracciata: restare succube di un Europa a trazione tedesca. Lo slogan più di moda tra i politici è: “dobbiamo essere più europeisti per cambiare l’Europa”. Frase ad effetto ma che come al solito non dice nulla. Come la cambiamo l’Europa? In quale direzione? E soprattutto: perché dovremmo credere che la cambino adesso, dopo aver ingabbiato l’Italia con la firma di trattati blindati, per i quali hanno addirittura modificato la Costituzione? Nella situazione attuale si fa fatica a pensare alla nascita di un governo italiano che sia pienamente consapevole della gravità della situazione e che abbia l’autorevolezza per imporre una nuova linea all’Europa. Una Unione palesemente in mano al potere finanziario che fa gli interessi di quel mondo e non di certo dei popoli, e che ha tradito il sogno dei padri fondatori come Altiero Spinelli e i firmatari del Manifesto di Ventotene. Quella che i più si ostinano a difendere è un’Europa che ha delle regole che eufemisticamente potremmo definire strane, e che sarebbe utile per tutti conoscere meglio. Faccio un esempio per essere più chiaro. La maggior parte dei politici che oggi dicono di voler cambiare l’Europa sono quelli che, tra i tanti accordi sottoscritti, nel 2011 hanno votato il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), meglio conosciuto come Fondo salva-Stati. Un accordo che ha impegnato i Paesi dell’Unione Europea a versare 250 miliardi per evitare il fallimento della Grecia. Ricordiamo che in questo “salvataggio” la quota dell’Italia è stata di 20 miliardi. Sul default degli Stati c’è tanto da dire, e lo faremo successivamente, ma nel ragionamento attuale è interessante comprendere le finalità del MES, perché credo che se il popolo conoscesse la realtà inizierebbe a nutrire forti dubbi e criticità sulle scelte effettuate. A tal proposito è interessante sapere che dei 250 miliardi stanziati solo 30 sono andati alla Grecia, mentre gli altri 220 sono finite nelle casse delle banche francesi e tedesche. Ciò è accaduto perché abbiamo costruito un’unione di Stati con una moneta unica che però tanto unica non è, infatti ha un valore diverso in ogni Paese dell’Unione. Nel caso specifico della crisi Greca esplosa nel 2009, mentre in Germania l’euro valeva zero perché dai mercati era considerato un Paese sicuro, in Grecia aveva un alto valore, misurabile con il rendimento dei titoli di stato di quel Paese. Nella logica nella quale siamo immersi è normale che sia così, perché un Paese considerato “a rischio” deve obbligatoriamente alzare il rendimento dei propri titoli per invogliarne l’acquisto. Da ciò ne consegue che le banche tedesche e francesi raccoglievano i risparmi dei cittadini non pagando alcun tasso d’interesse, quindi gratis, e con i depositi incamerati acquistavano titoli del debito pubblico greco. Suddette banche con due semplici operazioni hanno spostato una quantità enorme di denaro assicurandosi un profitto del 15%, cifra corrispondente alla rendita dei titoli greci. Nel frattempo il paese ellenico, sempre più indebitato, vedeva scendere il proprio rating e di conseguenza era costretto ad alzare il tasso d’interesse per rendere appetibili i propri titoli di stato. Questo meccanismo infernale è andato avanti per diverso tempo, ma ad un certo punto la Grecia non è riuscita più ad onorare il debito ed è precipitata vorticosamente in una spirale negativa. La storia successiva la conosciamo, perché è quella che ci conduce ai giorni nostri, dove nessun grande mezzo d’informazione denuncia ciò che realmente è accaduto. Anzi, si continua a far passare come atto filantropico, nei confronti di un Paese europeo in difficoltà, quello che in realtà è stato un salvataggio bancario dei paesi padroni d’Europa.