Come ho scritto e ripetuto, la tecnica ormai condiziona e controlla l’economia che a sua volta domina il mondo, e per fare ciò ha cambiato le nostre mappe concettuali. Ha reso labile il confine tra lavoro e non lavoro con l’invenzione della gig economy, la cosiddetta economia dei lavoretti. È considerato lavoratore il ragazzo che accede all’app di Uber e immediatamente diventa tassista? O quello che si collega a Denilvoor per consegnare pasti da asporto? Il pensiero dominante, frutto della logica delle multinazionali, ci spiega che tutto ciò non è lavoro, in quanto si è liberi di accedere e uscire dal sistema, senza alcun obbligo. Purtroppo la maggior parte della popolazione, sempre più disorientata, non riesce a comprendere che ciò è falso, perché cerca di analizzare una realtà nuova con strumenti obsoleti. Nei due esempi sopra riportati, quando si parla di libertà non si considera il condizionamento indotto dagli apparecchi tecnologici. Basta guardarsi intorno, osservare il rapporto dei nostri figli con: cellulari, tablet, play station, eccetera, per comprendere il grado di dipendenza nel quale siamo immersi. Le multinazionali, con ingenti investimenti in ricerca e sviluppo, lavorano quotidianamente alla creazione di strumenti capaci di capillarizzare la loro presenza. Studiano come operare indisturbati ed eludere le normative degli Stati sul lavoro, la sicurezza e il fisco. E cosa potevano inventare di più geniale ed efficace, al raggiungimento dei loro scopi, del considerare non lavoro il lavoro? Basta un po’ di fantasia, e modificando il perimetro concettuale si può smette di considerare lavoro una qualsiasi attività umana. Fatto ciò, non si ha più il dovere di adempiere ai fastidiosi obblighi normativi. Così, ad esempio, si possono consegnare pasti o merci di qualsiasi tipo lavorando con la propria auto senza ottenere alcun rimborso spese, e senza ricevere: formazione sulla sicurezza, tutela assistenziale e versamenti contributivi. Tutto ciò in cambio di una remunerazione a cottimo, parametrata alle prestazioni ottenute e calcolate in dettaglio da un algoritmo. In un mondo dove non esistono sindacati né diritti, dove ci si muove all’interno di una logica di competizione sfrenata, e i risultati sono pubblicati e confrontati; dove l’unica legge valida è quella di natura: la sopravvivenza del più forte. Insomma, un infernale meccanismo premiale volto alla spersonalizzazione, che innescando competizione crea dipendenza.