Sempre più spesso si sente parlare di finanza, la quale va occupando uno spazio maggiore nell’informazione e ha sempre più influenza. Sono sempre di più quelli che sostengono che ormai controlli il mondo. È davvero così potente? E con quali meccanismi esercita tale influenza? Sono tante le cose da dire e non riuscirò a trattarle in un unico articolo, anche perché non ho intenzione di mischiare più argomenti e rendere la lettura incomprensibile. Allora, visto che da qualche parte bisogna partire, inizio da quello che, secondo me, è stato l’episodio che ha generato l’avvio dello strapotere della finanza, e risale al 1999 quando l’allora amministrazione statunitense presieduta da Bill Clinton abolì il Glass Steagall Act. Una legge che, tra le altre cose, vietava l’unificazione delle banche d’investimento con quelle commerciali, che fino ad allora erano state realtà di dimensioni locali e sottoposte a controlli. La separazione era stata decisa a seguito della crisi del 1929, e aveva garantito un quarantennio di crescita senza bolle speculative e crisi economiche. Ma spesso la storia non insegna nulla perché la si legge con troppa superficialità, e quindi l’amministrazione Clinton, sotto la pressione del potere finanziario, decise che i tempi erano maturi per riunificare due istituzioni che svolgevano servizi diametralmente opposti. Infatti come è facile intuire, le banche commerciali, garantite dallo Stato, raccoglievano i risparmi, mentre le banche d’investimento facevano business con la compravendita di titoli e la speculazione finanziaria. Con l’abolizione del Glass Steagall Act i nuovi istituti finanziari centravano due obiettivi: da un lato rassicuravano i clienti prendendo in deposito i risparmi, a un tasso d’interesse quasi nullo, per prestarlo, a un alto tasso, a chi ne aveva bisogno (principalmente alle aziende); dall’altro investivano nel mercato azionario con enormi speculazioni e rischi altissimi, con la tranquillità di chi è consapevole di avere “le spalle coperte”. La decisione presa da Clinton rappresenta l’accelerazione di un percorso di deregolamentazione finanziaria, avviato negli anni ’80 dall’amministrazione Reagan, che non si è mai più arrestato. In quegli anni il simbolo dello strabordare della finanza nella politica fu la nomina, da parte del presidente Reagan, di Donald Regan (direttore generale della Merill Lynch, una delle più grandi banche d’investimento) a segretario al tesoro. Le scelte politiche di quel periodo erano indirizzate tutte nella stessa direzione, e permisero una serie di fusioni che partorirono grossi e potenti gruppi finanziari. Nacquero dei colossi sempre più influenti nelle scelte dei governi, in quanto un loro crollo avrebbe compromesso la tenuta economica del Paese. Questi nuovi gruppi finanziari, senza essere sottoposti ad alcun tipo di controllo, iniziarono ad occuparsi di più settori: gestione del risparmio, compravendita di titoli di stato, azioni, obbligazioni, derivati e attività speculativa in genere. Delle azioni ci siamo già occupati nell’articolo Dal mercato monetario a quello finanziario, mentre dei titoli di Stato non abbiamo ancora detto nulla. Questi ultimi sono dei prestiti fatti allo Stato (BOT, CCT, BTP eccetera), il quale si impegna a restituirli, con i dovuti interessi, nei termini stabiliti. Quindi, insieme all’aumento del debito dei privati, con la vendita dei titoli del debito pubblico aumenta anche il debito degli stati. Negli anni queste operazioni sono cresciute a dismisura, e giungendo nelle mani degli speculatori il sistema è degenerato. Quello che nel frattempo è accaduto ha dell’inverosimile: si è giunti al punto in cui il profitto non deriva più dal rendimento degli interessi ma dal risultato delle scommesse. Ormai gli speculatori scommettono su tutto, come se partecipassero ad un enorme gioco. Sono arrivati a scommettere sulla tenuta di una moneta o addirittura di uno Stato, riuscendo così a guadagnare cifre esorbitanti. Di conseguenza il valore complessivo del mercato finanziario ha superato di decine di volte quello dell’economia reale, ma con un problema di fondo: si tratta di un valore fittizio che nella realtà non esiste. Perché l’economia reale è quella tangibile che parte dal basso, dalla produzione di beni e servizi, e una volta arrivata in alto passa nelle mani degli speculatori che iniziano a “giocare” acquistando e vendendo, anche e soprattutto, cose che non posseggono. Vendere ciò che non si possiede tecnicamente si chiama vendita allo scoperto, oppure short. Se per esempio si decide di vendere allo scoperto titoli del debito pubblico di uno Stato e questa decisione la prendono in tanti, il valore del titolo crolla, così è possibile riacquistare ad un prezzo più basso. Per rendere più chiaro il concetto faccio un esempio numerico: una società finanziarie potrebbero decidere di vendere titoli per un valore di 2 miliardi di euro, incassare la somma e una volta che i titoli perdono valore riacquistarli. Se da questa semplice operazione dovesse guadagnare solo una “misera percentuale”, ad esempio il 3%, avrebbe incassato qualcosa come 60 milioni di euro. È evidente che parliamo di cifre da capogiro, di speculazioni che sono in grado mettere in ginocchio un Paese. Per essere più chiaro, riporto un episodio accaduto qualche anno fa, tra l’altro già citato nell’articolo Lo squilibrio dei poteri. Nel 2011 la Deutsche Bank possedeva un enorme quantità di titoli del debito pubblico italiano, per un valore che superava gli 8 miliardi di dollari, e ad un certo punto ha deciso di vendere tutto. La banca tedesca ha incassato gli 8 miliardi, ma nel frattempo nel mercato si è scatenato il caos, tutti hanno iniziato a vendere provocando il crollo del valore del titolo. Di conseguenza le banche che possedevano titoli del debito pubblico italiano sono andate in difficoltà rischiando il default. Allora hanno chiesto, in maniera sempre più insistente, aiuto allo Stato, facendo pressione sul governo per aumentare il valore dei titoli. Insomma, con una semplice manovra, la banca tedesca è riuscita a mettere in seria difficoltà uno Stato determinandone le scelte politiche. Qualcuno sostiene che una tale strategia sia stata finalizzata all’aumento dello spread (il differenziale tra il valore dei titoli di stato tedeschi e quelli italiani), qualcun altro che sia stata solo un’azione speculativa, probabilmente si è trattato di tutt’e due le cose, ma sicuramente ha condizionato le scelte politiche del governo. Infatti, l’Italia tra un giorno all’altro ha rischiato il default, e Silvio Berlusconi allora Presidente del Consiglio, solitamente combattivo e sfrontato, ha dato le dimissioni nel volgere di pochi giorni; probabilmente perché spaventato per il Paese e per le sue aziende. “Casualmente”, qualche giorno prima, l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva nominato Mario Monti, proveniente dal mondo della finanza, senatore a vita. E da lì a qualche settimana quest’ultimo è diventato Presidente del Consiglio di un governo tecnico. Ricostruzione fantasiosa? Può darsi, un giorno, forse, la storia ce lo dirà. Ma, tornando alle manovre speculative non c’è nulla di fantasioso, anzi il fenomeno non si limita a ciò che ho descritto. Infatti, le grosse società finanziarie una volta provocata la crisi di uno Stato, con gli incassi della vendita dei titoli spesso acquistano dei prodotti derivati (denominati Credit Default Swaps). Nella pratica i CDS sono dei titoli assicurativi che prevedono il rimborso nel caso di fallimento dell’assicurato. A differenza delle normali assicurazioni che conosciamo, nel settore finanziario è possibile acquistare Credit Default Swaps anche se non si possiedono titoli di quello Stato o di quella società, ed è facile intuire come il proprietario del titolo assicurato abbia tutto l’interesse affinché l’evento si verifichi. Ad esempio, se io pagassi il premio assicurativo di un bene di proprietà del mio vicino, è chiaro che avrei interesse affinché il sinistro si verificasse. Insomma, credo che non ci siano dubbi sul fatto che un sistema così concepito non possa funzionare. Tutto ciò avviene sulle nostre teste nella quasi totale indifferenza generale. Si approfitta del silenzio che gravita intorno a questi temi e del fatto che, essendo dinamiche complesse, non appassionino le masse. Per questo motivo è indispensabile la comprensione e la diffusione di tali tematiche, perché la consapevolezza offre la possibilità di iniziare a cercare un percorso diverso.