231 Consigli Comunali sciolti per mafia dal 1991 ad oggi. Nel corso del 2017 ne vengono sciolti mediamente 2 al mese. Nella seduta del Consiglio dei Ministri del 22 novembre, sono stati sciolti per infiltrazioni e condizionamento di tipo mafioso 5 Consigli Comunali, e di questa notizia non c’è traccia sui giornali e nei telegiornali. Probabilmente non fa audience, non è un tema che appassiona e che interessa trattare; come al solito le priorità sono sempre altre. Se a qualcuno sfugge, bisognerebbe tener presente che i comuni gestiscono soldi pubblici con appalti di molti milioni di euro. C’è la naturale tendenza a pensare che l’attività politica sia solo quella che si svolge a Roma o Bruxelles, che sia lontana, e che sia quella che la televisione ci racconta. Non pensiamo mai che sia ciò che accade quotidianamente attorno a noi, e che ci coinvolge in prima persona. Ciò si verifica perché nessuno ce la spiega, e siccome non siamo più abituati all’osservazione diretta, per noi non esiste. Non bisogna pensare che la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra siano fenomeni localizzati o che siano infiltrate solo nei piani alti del potere. In verità sono molto più vicine di quanto crediamo, sono in mezzo a noi, siedono nei consigli comunali e regionali, così da gestire discrezionalmente e con estrema facilità il denaro pubblico. Agiscono indisturbate, modificando, gonfiando e indirizzando gli appalti, gestendo la pianificazione dei territori, il trattamento dei rifiuti e la sanità. Rubano nel silenzio perché, tranne casi sporadici e temporanei, di queste situazioni i grossi media, quelli che fanno opinione, non parlano. Per capire quanto sia radicata la mafia nella nostra società, basta pensare che esiste da prima che nascesse l’Italia. Inoltre bisognerebbe comprendere che è un problema principalmente e tipicamente nostro, perché negli altri stati europei le organizzazioni criminali, per quanto pericolose, sono più o meno ai margini della società. Da noi mafia, camorra e ‘ndrangheta fanno sistema, sono dentro il palazzo del potere, e spesso godono del consenso popolare. Per essere più chiaro, faccio un esempio recente di ciò che è accaduto alle elezioni regionali siciliane del 5 novembre. A distanza di pochi giorni dalle votazioni, quattro membri dell’Assemblea regionale – non ancora insediata – sono finiti sotto inchiesta. Il caso più clamoroso è quello del ventunenne Luigi Genovese, accusato di riciclaggio insieme al padre Francantonio (ex parlamentare). Ciò che m’interessa sottolineare, e che ritengo sia il vero problema di questa triste storia, non è il sequestro di beni mobili e immobili per circa 30 milioni di euro ai danni di Genovese, ma sono i 17.359 cittadini che lo hanno votato.